8.0
- Band: PANZERFAUST (CAN)
- Durata: 00:47:41
- Disponibile dal: 22/07/2022
- Etichetta:
- Eisenwald Tonschmiede
Spotify:
Apple Music:
Strano percorso, quello dei canadesi Panzerfaust. Per anni relegati al più profondo underground black metal nordamericano, con una serie di pubblicazioni tra EP, full-length e split mai davvero in grado di affermarne il nome, complice una certa genericità a livello di proposta, e successivamente, in concomitanza dell’ingresso nel roster Eisenwald e dell’avvio della saga “The Suns of Perdition”, divenuti via via sempre più celebrati da pubblico e critica e ricercati sui palchi estremi di mezzo mondo (Party.San, Maryland Deathfest, Brutal Assault, ecc.). Una parabola ascendente che, a ben vedere, non ha mai attinto dai concetti di linearità e semplicità per alimentare la propria spinta propulsiva, e che oggi – al terzo ed ultimo capitolo del suddetto concept su larga scala – dimostra nuovamente di voler rifuggire le facili vie di fuga o le soluzioni di comodo, nell’ottica di un suono proveniente da oscuri anfratti interiori e dagli scenari di una Natura in procinto di risvegliarsi dopo un lungo inverno nucleare.
Va da sé che coloro in cerca di blast-beat, tremolo picking e di tutto quel corollario di soluzioni tipicamente ascrivibili al grande libro del black metal, non solo potrebbero rimanere disorientati di fronte a questa cinquantina di minuti di musica, ma potrebbero persino mettere in discussione la piena appartenenza dei suoi autori al genere, pellegrini di una carovana di sonorità poco interessate a lacerare e ferire, quanto piuttosto a scavare e avvolgere. La base di partenza per questo affresco dalle tinte cupe e freddissime, ancora una volta, viene fornita dalla scuola polacca di Mgla e Kriegsmaschine, ma – così com’era stato per “War, Horrid War” e, soprattutto, per il fortunato “Render unto Eden” – non si assiste ad un prevedibile (e sicuramente più impattante) rifacimento di “Exercises in Futility”; la lezione di M. e Darkside viene infatti presa dal quartetto dell’Ontario e dilatata, scomposta, messa in sospensione in un limbo di clangori ipnotici, influssi industrial e sviluppi ritmici non convenzionali, i quali fungono da vero perno della proposta. Alexander Kartashov dietro le pelli si rende qui protagonista di una performance sbalorditiva per fantasia e profondità, con un lavoro di piatti sopraffino e saltuari passaggi tribali a conferire alla tracklist un sapore quasi sciamanico, mentre i compagni – a partire dall’espressivo frontman Goliath – riempiono gli spazi giocando sempre su un’impostazione compassata, ben lontana dall’esplodere in una manifestazione di rabbia e ferocia.
Black metal fortemente personale e moderno (oltre al retaggio dei maestri dell’Est Europa si potrebbe citare quello di alcune band francesi e islandesi) che diventa sinonimo di trance per il corpo e per la mente, cullati nel buio, sotto una pioggia di neve e cenere, dai battiti di tamburi ancestrali e dalle punteggiature melodiche di un riffing identitario e fluidissimo. Un viaggio che sceglie coraggiosamente di partire in apnea con i dieci, narcotici minuti di “Death-Drive Projections” e che si schiude, accelerando anche i ritmi, con il procedere dell’ascolto, infilando proprio nel finale le sue due tracce più fruibili (i singoli “The Far Bank at the River Styx” e “Tabula Rasa”), manifesti di una visione artistica precisissima che, in questo momento, dà l’impressione di essere perfettamente padrona del proprio destino.
Chi vorrà cogliere la sfida di “The Suns of Perdition – Chapter III: The Astral Drain” sarà quindi ricompensato da una nuova esperienza di grande valore, ritrovando nei Panzerfaust una delle realtà più intriganti del circuito della Nera Fiamma contemporaneo. A patto, ovviamente, di viverla con la giusta dose di impegno e dedizione.