7.5
- Band: PANZERFAUST (CAN)
- Durata: 00:45:52
- Disponibile dal: 22/11/2024
- Etichetta:
- Eisenwald Tonschmiede
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Dopo cinque anni e quattro dischi, la saga di “The Suns of Perdition” dei Panzerfaust si conclude ufficialmente sulle note dell’ennesima opera pervasa di arie apocalittiche, sirene di guerra e sguardi lanciati su un futuro tragico.
Un lavoro che, tirando rapidamente le somme, si può dire non faccia altro che ratificare l’ambizione e le capacità messe in mostra nell’ultimo lustro, insistendo su un solco ormai noto senza sognarsi di apportare modifiche ad una formula personale e vincente, la stessa che – guarda caso – ha permesso ai suoi autori di essere scelti dai Kanonenfieber come unico supporto del fortunatissimo tour europeo attualmente in corso.
Se è quindi vero che “To Shadow Zion” suonerà come il ‘solito’ album dei Panzerfaust per coloro già addentro il loro black metal tetro e avvolgente, posto idealmente al crocevia fra certa scuola polacca e le divagazioni atmosferiche dei mondi industrial e ‘post-’, va comunque segnalato come a questa tornata il gruppo canadese abbia voluto ridare slancio alle ritmiche dopo la marcia ipnotica e monolitica del precedente “The Astral Drain”, confezionando una tracklist più energica e variopinta che sembra ricollegarsi ai primi due capitoli del concept.
Partendo da questa scelta stilistica, il quartetto si muove quindi in direzione di un campo di battaglia aspro, freddo e immerso nel buio, ma che all’occorrenza sa come essere riscaldato e rischiarato dal fuoco di qualche esplosione, puntualmente declinata in una melodia accesa o in una metrica arrembante. Un gioco di sfumature caliginose, di pieni stentorei e vuoti abissali, di percussioni che, come in una sorta di danza tribale, si propagano nell’aria invitando a vivere la musica tanto da un punto di vista fisico quanto mentale, con brani molto lunghi a seguire il filo di una narrazione che, comunque sia, riesce a non perdere mai la bussola.
A questo punto della carriera (risalente addirittura al 2005, molto tempo prima del suddetto ‘boom’ underground), la scrittura dei Panzerfaust si è fatta autorevolissima, e può contare su una profondità difficile da misconoscere per gli amanti del black metal contemporaneo e – in generale – del metal estremo più denso, cupo e atmosferico; un suono vasto e dettagliato, in cui perdersi ora seguendo il guitar work ingegnoso e magnetico di Brock Van Dijk, bravo a sintetizzare varie correnti in un flusso sempre spontaneo di riff, ora le evoluzioni tentacolari di Alexander Kartashov alla batteria, vero asso nella manica della band nordamericana grazie al suo tocco fantasioso e penetrante.
In definitiva, pur essendo svanito l’effetto sorpresa di qualche anno fa, i Nostri hanno saputo rendersi protagonisti di un’altra raccolta curata e dal peso specifico lampante già dalle prime fruizioni, la quale parte a bassi giri per poi salire inesorabilmente di intensità e raggiungere nel finale (“Occam’s Fucking Razor”, “To Shadow Zion (No Sanctuary)”) il suo zenit di lirismo e coinvolgimento.
A fronte di una proposta così sentita, ogni traguardo raggiunto è più che meritato.