6.0
- Band: PAPA ROACH
- Durata: 00:38:28
- Disponibile dal: 18/01/2019
- Etichetta:
- Eleven Seven Music
- Distributore: Warner Bros
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Dopo l’ottimo “Crooked Teeth”, chi scriva attendeva con fiducia il nuovo lavoro dei Papa Roach, convinto che il breve lasso temporale intercorso fosse frutto di una ritrovata vena creativa e incurante dell’inguardabile copertina, pronta a giocarsela con “Amo” dei BMTH per il titolo di peggiore dell’anno. In realtà – chiarito che il ritorno improvviso in studio è stato indotto dalla defezione forzata dei compagni di tour Of Mice & Men, spezzando di fatto in due le sessioni di registrazione – anche dal punto di vista musicale la decima fatica del quartetto californiano desta qualche perplessità, risultando come il classico disco di transizione. Ma andiamo con ordine, partendo da quelle che sono le evidenze oggettive alla base di “Who Do You Trust?”. Per prima cosa, è chiaro come Jacoby Shaddix abbia ripreso gusto a rappare: questo sarebbe anche positivo, se non fosse che il Coby Dick di una volta (“Cut my life into pieces”) sembra a volte una versione imbolsita di Zack Del La Rocha (“Renegade Music”) o, peggio ancora, un trapper fuori tempo massimo. Punto secondo: è chiaro come gli episodi più sperimentali del precedente disco (“Born From Greatness” su tutti) e l’influenza dei produttori (tutti provenienti dal mondo pop/dance /hip-hop) abbiano lasciato il segno, finendo col venire amplificati in occasione di pezzi come “Not The Only One” o “Elevate”. Da ultimo, la frammentazione compositiva, unita alla chiara volontà di ampliare i propri orizzonti a dispetto delle aspettative dei fan più o meno storici, ha partorito una tracklist dove si passa dallo space-pop di “Top Of The World” al quasi hardcore di “I Suffer Well” senza soluzione di continuità. Intendiamoci, alla fine non è tutto da buttare – “The Ending”, la titletrack e “Feel Like Home” sono in linea con le ultime produzioni, così come “Come Around”, “Problems” e “Maniac” entrano nel novero degli esperimenti riusciti – ma l’effetto fritto misto e un livello qualitativo non sempre all’altezza della loro fama ci fanno liquidare questo“Who Do You Trust?” come il lavoro più debole dai tempi di “Metamorphosis”. Curiosamente, Shaddix e soci sembrano voler seguire a distanza di anni le orme dei compianti Linkin Park (dal ritorno alle origini di “The Hunting Party” al pop di “One More Light”), con risultati in quest’ultimo caso appena migliori ma comunque insoddisfacenti: il futuro dirà se si è trattato solo di un mezzo passo falso, ma di sicuro l’ormai prossimo ventennale del seminale “Infest” merita di essere festeggiato in modo migliore.