voto
8.0
8.0
- Band: PARADISE LOST
- Durata: 00:45:58
- Disponibile dal: 29/09/2009
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: EMI
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Un salto nel tempo, indietro di una quindicina di anni: l’apertura di “As Horizons End” spalanca le orecchie e la mente, col ricordo che corre filato a quei fantastici album intitolati “Icon” e “Draconian Times”. Chi ha a cuore il gothic metal sa di cosa stiamo parlando, gli altri farebbero certamente bene a procurarseli, visto che si tratta di due assolute pietre miliari del genere. Un genere e una intera scena che se oggi esistono e hanno ancora qualcosa da dire lo devono innanzitutto a coloro che hanno appena pubblicato “Faith Divides Us – Death Unites Us”. Tutto ciò per dire che i Paradise Lost ce l’hanno fatta ancora una volta: sono tornati sul luogo del delitto con un album, al solito, fumoso e profondo, che per la terza volta negli ultimi anni li vede maneggiare nuovamente sonorità metal (in “Living With Scars” vi sono persino alcune inflessioni death!). Un nuovo ritorno alle radici, a tratti ancor più marcato rispetto a quello messo in atto sul precedente “In Requiem”, ma pur sempre fresco e attuale, come da tempo quasi immemore vuole la tradizione Paradise Lost, un gruppo – lo ribadiamo – che è sempre stato “avanti” e che non ha mai avuto paura di mettere in pratica ciò che aveva davvero in mente, anche a costo di commettere dei suicidi commerciali. Registrato in Svezia, “Faith…” è stato prodotto da Jens Bogren (Katatonia, Opeth), già rodato dalla collaborazione per il mixaggio dell’audio del DVD “The Anatomy Of Melancholy”. L’album si apre appunto con il lento incedere orchestrale di “As Horizons End”, che anzichè vivacizzarsi rimane lì a ricamare trame soffuse. La sapiente aspettativa così creata, prima di trasformarsi in frustrazione, esplode invece nella reazione di rabbia e sgomento costituita da “I Remain”, fragorosa impennata di metallo gotico creata dal sempre ingegnoso lavoro di chitarra di Gregor Mackintosh. Da qui in poi, i Paradise Lost non fanno altro che ostentare tutta la loro classe ed esperienza, dando vita a una tracklist vivace e ispirata, che passa in rassegna tutta quella ampia gamma espressiva costruita in anni di continua ricerca sonora: dal midtempo oscuro e solenne (“First Light”) all’attacco metal senza troppi fronzoli (“Universal Dream”, a tratti qualcosa di più di un richiamo alla vecchia “Pity The Sadness”!), passando per l’epica ballata della title track, forse la miglior canzone del lotto, nella quale la voce di Nick Holmes viene sospinta da un vortice di chitarre e orchestrazioni che ne illuminano meravigliosamente l’incedere. Come comune denominatore, una cura negli arrangiamenti a dir poco spaventosa e l’ormai consueta immediatezza di fondo, che porta sempre i nostri a costruire vere e proprie canzoni, con strutture ben definite e una durata mai eccessiva. Considerata la loro ormai ventennale carriera, non potevano dunque tornare in forma migliore, i Paradise Lost. L’ispirazione – in qualsiasi cosa si cimentino – continua a non mancare loro, così come l’entusiasmo e la passione per confezionare ogni volta delle opere curatissime e altamente professionali sotto ogni punto di vista. C’è solo da prendere esempio da artisti di questo calibro.