6.0
- Band: PARADISE LOST
- Durata: 00:50:32
- Disponibile dal: 01/12/2023
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“Il nostro contratto discografico nel periodo in cui abbiamo firmato per l’album ‘Icon’ asseriva che non avremmo mai effettivamente posseduto i diritti sulla nostra musica o sull’artwork, quindi andando avanti, per avere la possibilità di ristampare l’album noi stessi per il 30° anniversario, è stato necessario ri-registrare e rifare completamente la copertina dell’album.
Ri-registrare ‘Icon’ non solo ci permetterà di pubblicarlo in una serie di edizioni da collezione su vinile, ma è stato anche bello rivisitare alcune canzoni di una vita fa. Niente potrà mai sostituire quelle registrazioni originali, sono una parte nostalgica di tutte le nostre vite, ma è stato molto divertente rivisitare quei primi giorni su Music For Nations ancora una volta, e spero che il risultato finale lo dimostri!”.
Davanti a una dichiarazione come questa, buona parte delle possibili interpretazioni della decisione dei Paradise Lost di riregistrare un caposaldo della loro discografia vengono immediatamente spazzate via. È la stessa band a sottolineare come dietro questa operazione non vi sia alcun tipo di esigenza artistica: “Icon 30” è soltanto uno strumento che permetterà a Greg Mackintosh e compagni di ottenere pieno controllo e di trarre maggior profitto da quelle che rientrano a tutti gli effetti fra le loro composizioni più riuscite e famose. Si tratta in sostanza di un prodotto che, per stessa ammissione di questi musicisti, serve più a loro che a quei fan che già possiedono una o più edizioni dell’originale del 1993.
Certo, volendo proprio sorvolare sul fatto che un cantante come Nick Holmes oggi non abbia certo la stessa potenza o l’estensione di trent’anni fa, un argomento a favore della discussa pratica di registrare nuovamente un vecchio capitolo della discografia potrebbe sostenere che la tecnologia moderna offra opportunità di registrazione e produzione sonora superiori rispetto a quelle disponibili al momento della creazione dell’album originale. Tuttavia, questo presupposto assume che una presunta maggiore qualità tecnica si traduca automaticamente in un’esperienza d’ascolto migliore.
In realtà, la magia di un album leggendario – come può appunto essere “Icon”, opera cardine del metal novantiano, che ha contribuito a creare e definire il concetto di gothic metal – spesso risiede nella capacità di tale album di catturare l’energia e lo spirito di un’epoca specifica, indipendentemente dalla qualità della registrazione o dell’interpretazione dei suoi autori. Senza contare che “Icon”, nella sua edizione originale, gode comunque di una resa sonora impeccabile per quelli che erano il background e le ambizioni artistiche dei Paradise Lost in quel preciso momento della loro carriera.
Un altro aspetto da considerare è poi ovviamente il rapporto dei fan – perlomeno quelli della prima ora – con l’opera originale. I dischi storici sono spesso associati a ricordi e esperienze personali, e rivisitare questi lavori rischia quasi sempre di influenzare negativamente la connessione emotiva tra l’ascoltatore e la musica. Ciò solleva quindi anche la questione se un ipotetico desiderio di perfezionamento da parte degli artisti debba prevalere sulla nostalgia e l’affetto dei fan. Del resto, la ‘perfezione’ di un’opera è spesso legata al contesto e allo spirito del momento in cui è stata creata, e modificarla o rivisitarla in qualunque modo rischia sempre di compromettere la sua autenticità.
Detto ciò, in questo caso il dibattito viene appunto troncato alla base dalla stessa band: i Paradise Lost sono evidentemente i primi a sapere che questa nuova versione del disco, pur confezionata con la massima cura, fedeltà e professionalità possibili, non potrà mai battere l’originale; è un concetto che hanno ben espresso, diramando un comunicato come quello mentre stavano ultimando queste nuove registrazioni.
In sintesi, pur non volendo sminuire un lavoro di produzione comunque certosino, l’unico vero moto di interesse verso “Icon 30” – a meno che non si sia dei cosiddetti die-hard fan e dei completisti incalliti – è innescato dal fatto che presto i fan avranno l’opportunità di ascoltare (nuovamente) dal vivo molti brani che per decenni sono rimasti fuori dalle scalette dei tour.
Detto che non è naturalmente garantito che sul palco la band sarà in grado di riproporli come ai cosiddetti tempi d’oro, siamo abbastanza certi che risentire i vari “Joys of the Emptiness”, “Dying Freedom”, “Widow” e “Colossal Rains” – oltre a classici quasi sempre presenti come “Embers Fire” o “True Belief” – farà comunque venire la pelle d’oca a più di qualcuno, noi in primis.