8.0
- Band: PARADISE LOST
- Durata: 00:45:23
- Disponibile dal: 15/05/2020
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Con “Medusa” i Paradise Lost avevano messo in primo piano una certa propensione alla monumentalità, accentuando più che mai il carattere death-doom del loro sound, riscoperto grazie ad una perla come “Beneath Broken Earth”, e recuperando un approccio più narrativo e digressivo nelle composizioni. Da quando la band ha ridato spazio a certe istanze particolarmente metalliche, la varietà è tuttavia divenuta una caratteristica rilevante nella sua proposta e questa, dopo la tenebrosa parentesi di “Medusa”, torna ad emergere e a imporsi su “Obsidian”, album che, proprio come il fortunatissimo “The Plague Within”, si mette alla ricerca di un eclettismo rigorosamente aperto e sempre riconoscibile. La rinnovata predilezione per il nomadismo a livello stilistico questa volta porta Greg Mackintosh e soci a lavorare su linee di sviluppo che intrecciano i loro tipici gothic metal e death-doom con una rigenerata vena dark/gothic rock, per un lotto di canzoni briose e mai troppo scontate. Il disco si apre infatti con le nostalgiche venature di “Darker Thoughts”, midtempo garbatamente effigiato da chitarre acustiche e archi che potremmo arrivare a definire una delle opener più toccanti della carriera del gruppo, ma prosegue poi alternando vari registri e cadenze, ora andando nella direzione di un gothic-doom sempre elegante ma più roccioso – “Fall From Grace” e “Ravenghast”, le quali avrebbero potuto tranquillamente fare parte del lavoro precedente – ora, in pezzi come “Ghosts” e “Hope Dies Young”, rispolverando il carattere più leggero dei tardi anni Novanta e dei primi Duemila. “Ghosts”, in particolare, riprende sostanzialmente la formula di vecchi episodi come “Forever After”, “Erased” o “Say Just Words”, dando però il timone a chitarre e basso anzichè alle tastiere e avvolgendo il tutto nella produzione calda e analogica ultimamente cara alla band. Il risultato è un potenziale hit single che rivela più che mai tutto l’attaccamento di Mackintosh verso i Sisters Of Mercy. Il velo di eclettismo che riveste l’esecuzione e la scrittura di “Obsidian” ha infine modo di risplendere anche in tracce meno immediate di quelle citate poc’anzi: “The Devil Embraced”, negli interventi di Mackintosh da solista, rivela motivi che ricordano le atmosfere algide del sottovalutato disco omonimo del 2005, mentre la notevole “Serenity” possiede un timbro maggiormente epico ed esalta al massimo il growling di Nick Holmes nelle strofe.
A questo punto, sembra quasi superfluo sottolineare come, anche se ormai oltre il trentesimo anniversario di onorata carriera, i Paradise Lost continuino a dimostrare di possedere creatività e gran voglia di fare musica. Non si registrano novità stilistiche, ma il gruppo ancora una volta sa come imbastire un puzzle di sensazioni autobiografiche senza scadere nell’autocitazionismo più becero, proponendo brani che si reggono in piedi da soli e che sanno come destare l’attenzione del fan in ascolto.
Sottraendosi in parte alla pesantezza ad oltranza del suo diretto predecessore, “Obsidian” dispensa lampi di puro estro, rivelandosi un’opera molto curata e scorrevole, che certamente va ad inserirsi tra le migliori della discografia del gruppo negli anni Duemila. Ancora una volta, l’attesa per un nuovo album è stata ben ripagata da questi musicisti dall’ispirazione inesauribile.