6.0
- Band: PAVIC
- Durata: 00:51:12
- Disponibile dal: 15/09/2008
- Etichetta:
- Anteo Records
- Distributore: Masterpiece
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I Pavic nascono dalla mente di Marko Pavic, chitarrista e compositore nato a Belgrado e attualmente residente in Italia. “Unconditioned” è il secondo album della formazione che annovera tra i suoi membri Chris Catena, affermato cantante che collabora con numerose formazioni (Mind’s Eye e Vitalij Kuprij, oltre alla propria carriera solista), Lorenzo Antonelli alle tastiere, Alex Ferrara al basso e Marco Madonia alla batteria. Ed è proprio la chitarra di Marko a farla qui da padrona, sfoggiando un suono moderno e d’impatto che contrasta in maniera decisa con l’hard rock melodico e raffinato proposto nelle dodici tracce creando a nostro avviso un mix ben riuscito. Viene privilegiata l’immediatezza con ritornelli orecchiabili, ritmiche semplici e di facile assimilazione e la formula funziona abbastanza bene con canzoni come l’opener “Miracle Man”, o “Trapped”, introdotta da un’indovinata melodia tastieristica, o “Just Go On” dove Kee Marcello degli Europe si presta per l’esecuzione della parte solista. Non tutto funziona come dovrebbe e non tutti gli episodi riescono a fare breccia nel cuore dell’ascoltatore: incostante la qualità di un album che facendo forza sull’immediatezza e orecchiabilità dei pezzi viene fortemente minato da episodi poco riusciti o che presentano ritornelli banali con un forte senso di già sentito. Risollevano un po’ le sorti “Unconditioned Love”, classica heavy ballad, e “Hidden Sorrow”, introdotta da un riff veloce e tagliente che sfocia in un ritornello accattivante e ben riuscito: non basta purtroppo qualche buona canzone a risollevare le sorti di un album in cui le canzoni rimanenti scorrono lasciando l’ascoltatore nell’indifferenza più totale. Sotto tono la prestazione di Chris Catena, che non risulta totalmente a suo agio durante l’interpretazione delle linee vocali penalizzando alcuni episodi che avrebbero potuto guadagnare qualche punto in più con un’interpretazione forse meno tecnica ma più calda e sanguigna. Nulla da ridire invece sull’esecuzione tecnica degli strumentisti e sulla produzione che si dimostra ben equilibrata ed in linea con la proposta. I brani scorrono senza grosse sorprese e si arriva dopo cinquanta minuti alla conclusione dell’album che, anche dopo ripetuti ascolti, non riesce a decollare: seppur ineccepibile dal punto di vista strumentale, risulta troppo incostante e dispersivo per entrare di diritto nella discografia di ogni rocker che si rispetti.