PEARL JAM – Gigaton

Pubblicato il 01/04/2020 da
voto
7.0
  • Band: PEARL JAM
  • Durata: 00:57:05
  • Disponibile dal: 27/03/2020
  • Etichetta:
  • Republic Records
  • Distributore: Universal

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Fughiamo ogni dubbio in partenza: difficilmente “Gigaton” è il disco che avrebbe fatto innamorare chiunque dei Pearl Jam; ciò detto è un album che rispetta un marchio di fabbrica consolidato e che si lascia ascoltare piacevolmente. Come paragone, si può far riferimento a “Backspacer”, sicuramente il loro lavoro della fase recente più ispirato; i pezzi diretti confermano il sound a metà strada tra la produzione a marchio Brendan O’Brien (che pure non siede in regia, ma l’influsso pare rimasto forte) e il rock ‘adulto’ da stadio: del resto, ormai, l’unica dimensione in cui Pearl Jam mettono d’accordo tutti, fan e detrattori. I brani più lenti hanno classe e cuore, pur avendo perso un po’ di struggimento a favore di una maturità anche anagrafica… e infine, ci sono gli assodati passaggi ove i cinque di Seattle puntano a rileggere gli Who ed elaborare brani più complessi. Con qualche limite espressivo, ma con una consapevolezza compositiva che fa piacere vedere crescente dopo trent’anni di carriera.
“Gigaton” è un album rock, in fondo, senza troppe etichette o seghe mentali, certo meno stupefacente rispetto a quanto poteva far presagire il singolo “Dance Of The Clairvoyant”, con la sua cadenza post-punk e le spruzzate di synth tanto care ai fan di Editors, Killers &co; tutte band che meritano il loro posto nell’Olimpo dell’indie, ma con cui inevitabilmente e giustamente i Pearl Jam non si mettono in competizione. Il loro posto è un altro, e così ben vengano pezzi trascinanti e riconoscibili come “Who Ever Said” e “Superblood Wolfmoon” che aprono il disco col botto, le strizzatine nostalgiche al lato più noise del grunge (“Quick Escape”), e l’intimismo avvolgente declinato in forme più o meno acustiche, come testimoniato dalla sequenza “Alright” – “Seven O’Clock”. Il lato B dell’album, almeno ideale qualora non siate degli amanti del vinile, ripropone una struttura simile, col crescendo di “Never Destination” e l’incalzante “Take The Long Way” a pavimentare la strada per una sequenza di brani a seguire più ricercati e morbidi. “Buckle Up”, “Comes Then Goes” e “Retrograde” sono le ennesime pagine di diario privato di un Eddie Vedder sempre più leader unico della band; nel primo brano sembrano guardare persino ai R.E.M. di “Murmur” nell’inserimento di note vagamente bucoliche e surreali, mentre nei due a seguire i Pearl Jam giocano a rifare “By Numbers” dei succitati The Who, arrivando a declamare senza remore che “the kids are alright”. Resta solo una traccia, “River Cross”, che non accelera i ritmi, ma mostra una ricercatezza notevole, grazie al sostegno di organo e all’uso prevalente dei tamburi, che costruiscono un brano sospeso e cupo, dotato di una certa epica. In grado di dimostrare che se basso, chitarra e batteria sono e saranno sempre la loro dimensione espressiva ideale, quando i Pearl Jam alzano la testa hanno anche capacità e visioni più ardite da offrire.

TRACKLIST

  1. Who Ever Said
  2. Superblood Wolfmoon
  3. Dance of the Clairvoyants
  4. Quick Escape
  5. Alright
  6. Seven O’Clock
  7. Never Destination
  8. Take The Long Way
  9. Buckle Up
  10. Comes Then Goes
  11. Retrograde
  12. River Cross
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