7.5
- Band: PELICAN
- Durata: 00:51:16
- Disponibile dal: 16/05/2025
- Etichetta:
- Run For Cover Records
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I Pelican tornano: e non lo fanno solo a livello discografico (a sei anni dal precedente “Nighttime Stories”) ma ritrovano, anche e soprattutto, la formazione originale. A tredici anni dal suo addio, ecco infatti di nuovo in formazione Laurent Schroeder-Lebec, chitarrista fondatore e uno dei principali compositori di capolavori come “Australasia” e “The Fire in Our Throats Will Beckon the Thaw”.
Questo “Flickering Resonance” si piazza stilisticamente proprio in mezzo a questi due ingombranti fratelli e lo fa nel migliore dei modi, ritrovando in parte il senso di pesantezza del debutto e le cangianti architetture sonore del suo successore.
La musica dei Pelican, pur non essendo mai passata attraverso grosse rivoluzioni di sorta, ha sempre vissuto di una personalità molto marcata, con la band che non ha mai avuto paura di creare qualcosa di più arioso, passando dalle scale minori, un classico dell’heavy metal, alle scale maggiori: un qualcosa che si può fare suonando comunque dannatamente pesanti, con i tratti distintivi – tonnellate di distorsione, strutture quasi cinematografiche e brani lunghi – sempre presenti.
Dai solchi di “Flickering Resonance” si nota una più propensa voglia di ampliare soluzioni soliste, con molti fraseggi ben supportati da pesanti riff di matrice doom e post-metal. “Evergreen”, ad esempio, mette i muscoli al post-rock dei Mogwai evolvendo il tema principale e costruendoci sopra soli di chitarra che di fatto sembrano suonare come linee vocali vere e proprie.
Il mood non è mai opprimente, anzi si ha come l’impressione di essere perennemente in un limbo di luce e ombra, confortevole e che non mette mai a disagio.
“Specific Resonance” riporta il focus sulle chitarre ritmiche, utilizzando un andamento post-punk e aperture malinconiche quasi alla The Cure nel segno di una ricerca della semplicità emotiva, sebbene negli otto minuti di durata la carne al fuoco sia tanta, tra momenti quasi puliti a crescendo toccanti e mai banali.
Si alza l’asticella dell’aggressività con “Cascading Crescent”: praticamente i Godflesh se fossero cresciuti a suon di Slint invece che Swans, per un brano sicuramente di impatto, essendo molto più diretto degli altri, ma che suona, in alcune parti, un po’ prevedibile.
Di tutt’altra pasta invece “Indelible”, capace di fare esattamente quello che deve fare una canzone dei Pelican: suonare pesante nelle parti più fangose e commovente in quelle più melodiche. Un brano, come non succedeva da tempo, che sembra uscire direttamente da “Australasia”.
Il disco poi non vede grossi cali di sorta nemmeno nella parte finale, con i richiami ai Mono – e anche ai mai dimenticati Vanessa Van Basten, ci verrebbe da dire – di “Pining For Ever” e una propensione verso il post-rock delle conclusive “Flickering Stillness” e “Wandering Mind”, con quest’ultima che gestisce meglio i crescendo grazie ad un prezioso lavoro di arrangiamento da parte delle chitarre nella parte finale, veramente emozionante.
Dopo un periodo interlocutorio fatto di album di sicuro valore come “Forever Becoming” e “Nighttime Stories”, che peccavano però di una certa scolasticità risultando più freddi di altri, questo “Flickering Resonance” riporta finalmente i Pelican nel posto che gli compete: tra i migliori gruppi in ambito post-metal.
Al netto di qualche sparuto momento meno ispirato, il tutto suona esattamente come vent’anni fa (in senso positivo, non si fraintenda) ma, più importante, anche le emozioni che creano certi passaggi hanno la stessa intensità di vent’anni fa. Cosa, questa, non da poco.