8.0
- Band: PENDRAGON
- Durata: 00:54:47
- Disponibile dal: 28/04/2011
- Etichetta:
- Snapper Music
- Distributore: Audioglobe
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Dopo l’accenno di svolta stilistica attuata dai Pendragon nell’ottimo “Pure” del 2009, disco che vedeva un certo ispessimento del suono a favore di costruzioni più metal e meno derivanti dal prog ’70 e dai Pink Floyd, erano in molti a chiedersi come sarebbe suonato questo nuovo “Passion”. La risposta è subito riscontrabile, anche solo tramite un primo affrettato ascolto; constatando che il generale indurimento dei suoni e la prestazione più robusta dell’allora nuovo entrato batterista Higham sono ancora ben presenti nei solchi dell’album. Ma basta questo per descrivere un album dei Pendragon? Basta dire che il suono mantiene coordinate più metalliche, pur mantenendo il collegamento con le sonorità aperte ed ariose di un tempo? Assolutamente no. Come per la maggior parte dei lavori dei Pendragon, “Passion” è sicuramente di più. E’ uno scrigno ermetico, una sorta di portale chiuso, restio ad aprirsi davanti ad un ascoltatore casuale. Questo disco può essere paragonabile appunto ad una porta, ad un passaggio che va aperto con la viva curiosità di volerci guardare dentro, di capire anche questa volta dove questo passaggio ci porterà. E allora, come già succedeva in “Pure”, il mondo aldilà di questo portale si rivelerà, e come sempre risulterà essere una rappresentazione dell’animo interno del compositore Barrett, un mondo descrivibile come una sorta di stanza chiusa con pareti di vetro, all’interno della quale ci siamo noi mentre all’esterno si agitano luci e colori, al ritmo della musica generata dalla band, sempre cangevole e mutabile. E così, invece di descrivervi questo album con sterili valutazioni sul tipo di suono scelto, sulle singole prestazioni strumentali oppure con futili dissertazioni sul genere proposto, preferiamo di gran lunga concentrare la nostra attenzione sulle suggestioni che ciascuna di queste canzoni crea, sui colori che ogni brano dipinge o proietta sul nostro vetro. Il metal a tinte fosche di “Passion”, introdotto da una più calda intro con piano e base elettronica, è la prima cosa che vediamo, con violente vampate di rosso che vengono stese su una base nera. La musica è istintiva, e si snoda diretta tra momenti appunto più decisi e brevi pause, sospese dalle note del tastierista Nolan. La successiva “Emphaty” è, al pari con la lunghissima “This Green And Pleasant Land”, il momento migliore dell’album, entrambe lunghe suite composte da molteplici umori e suggestioni, entrambe pronte a cullarci con ariose basi di tastiera, oppure ad incalzarci con martellanti ritmiche di basso e chitarre, o ancora a farci sognare con i liquidi assoli del sempre più bravo Barret. Nel giro di una cinquantina di minuti il viaggio finisce, e i Pendragon non hanno più niente da dirci, ma l’impressione di avere per qualche tempo guardato nell’intimo di questi musicisti rimane. Un altro ottimo lavoro, intimista, denso e sicuramente a modo suo complicato, che espande il concetto musicale imboccato con “Pure”, mantenendo i dovuti ponti con il passato della band. Per chiunque ami questa band, supponiamo che, dopo qualche ascolto, diverrà probabilmente un album da ascoltare molte volte, nei momenti in cui vogliamo dedicarci solo alla musica…