6.0
- Band: PERCHTA
- Durata: 00:48:00
- Disponibile dal: 14/06/2024
- Etichetta:
- Prophecy Productions
Spotify non ancora disponibile
Apple Music:
Dopo l’accoglienza piuttosto fredda riservata alla loro opera prima, i Perchta si presentano alla prova del secondo album con un approccio sensibilmente rinnovato. Lo fanno, innanzitutto, con un album fatto effettivamente a forma di album: se “Ufång” era una sorta di rituale musicato tutto sussurri e urla, sentito nelle intenzioni ma inconsistente nella sostanza, il nuovo “D’Muata” (‘la madre’, nel dialetto austriaco in cui sono scritti i testi) è una raccolta di canzoni dotate quasi sempre di un capo e di una coda, con qualche riempitivo strumentale e un filo conduttore abbastanza chiaro.
In secondo luogo, e in modo ancor più drastico, è cambiato il songwriting. Non solo perché stavolta c’è, un songwriting degno di questo nome; ma ancor più perché siamo davanti ad una band che sembra aver abbandonato quasi del tutto le velleità ambient per dedicarsi ad un pagan-folk-black nettamente più digeribile, destinato ad ascoltatori più inclini alla melodia e con un gusto per le produzioni massimaliste. Per intenderci, quando diciamo ‘pagan-folk-black’ ci riferiamo, in questo caso, a qualcosa di più vicino ad un incrocio tra gli Eluveitie e i Cradle Of Filth, magari con una spruzzata di Myrkur qua e là, che a commistioni tra Primordial o Heilung da una parte ed Enslaved o Emperor dall’altra. Del resto, dietro i ‘nuovi’ Perchta non c’è solo Fabio D’Amore (produttore e bassista, tra gli altri, dei Serenity), ma anche una formazione allargata che comprende musicisti provenienti proprio dall’ambito prog-power o power-folk. Non è una formula per tutti i palati (a chi vi scrive, francamente, non piace), ma ha indubbiamente del potenziale. Sembra, infatti, fatta apposta per cavalcare il successo che il genere sta riscontrando con un prodotto che ambisce a intercettare un pubblico più ampio di quello con cui la combo austriaca aveva provato a interloquire col primo album.
Infine, è cambiato il sound, che è passato dall’affilato minimalismo del lavoro precedente ad una sonorità più pulita e mainstream.
Al netto di qualsiasi ulteriore considerazione e dei gusti personali, le premesse sembrerebbero favorevoli e infatti, tutto sommato, “D’Muata” parte in un modo che qualcuno potrebbe gradire. Nell’opener “Vom Verlånga” e nella successiva “Ois wås ma san” si notano innanzitutto la ricerca del riff guascone e del ritornello memorabile, il risalto offerto alla voce di Frau Percht (finalmente non più relegata al ruolo di mera ansimatrice), e la costruzione di un impianto sonoro ricco e pieno, molto lontano da quello tagliente e rarefatto della prima release. Talmente lontano che se il difetto di “Ufång” era l’assenza di contenuto, qui il rischio è l’effetto mappazzone. Dopo questa partenza tutto sommato passabile, qualcosa si inceppa. A partire dal precoce intermezzo “Heiliges Bluat” – versione urlata e ‘pettinata’ dei recitativi dell’album precedente – “D’Muata” cerca di dare maggior risalto alla vena folk e black dei Perchta, che per qualche ragione non suona mai veramente spontanea. Da un lato, le composizioni strizzano fin troppo platealmente l’occhio ad altre realtà (“Hebamm”, in alcuni passaggi, sembra un b-side di Myrkur), dall’altro si avverte una ricerca dell’originalità che non di rado passa per una sovrapposizione artificiosa e talvolta caotica di elementi e idee. Il cantato, sempre più onnipresente man mano che l’album avanza, degenera in uno screaming più banalmente sgradevole, che selvaggio; mentre soli quasi heavy si innestano su tastiere che rimandano all’horror metal di scuola italiana, il tutto in un tripudio di sonagli, percussioni e suoni rituali. Le buone idee ci sono, ma sono bocconi in un lungo pasto un po’ stucchevole.
“D’Muata”, insomma, è un disco che per stare col piede in troppe scarpe finisce per inciampare. Se non altro, costituisce un avanzamento rispetto a quanto proposto quattro anni fa e quasi certamente è un album di passaggio, con cui i Perchta stanno cercando di orientarsi per trovare la loro strada. Confidiamo nei feedback positivi di chi ha avuto modo di ascoltarli in sede live.