7.0
- Band: PERIPHERY
- Durata: 00:39:20
- Disponibile dal: 26/01/2015
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Universal
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Siamo convinti che “Juggernaut” (terza uscita ufficiale targata Periphery, annunciata ormai da anni e attesa da fan in tutto il mondo) rappresenti, completa delle sue due parti “Alpha” e “Omega”, un’unica entità. Anche se il formato con cui la Sumerian Record e la band hanno scelto di mettere in commercio il prodotto è quello di due dischi comprabili separatamente. Anche se a detta della band stessa non c’è un vero e proprio ordine trai due dischi, consigliamo l’ascolto e la lettura della recensione a partire dal più accessibile “Alpha”, per passare poi all’incompromissorio e pesante “Omega”.
Rispetto all’ampiezza di vedute e all’accessibilità di “Alpha”, “Omega”, come è corretto che sia, si pone agli antipodi. Liricamente incentrato sulla narrazione, più impersonale e come tale più ‘neutra’, di eventi terribili essenziali ai fini della trama, rappresenta il lato tipicamente aggressivo e privo di compromessi della band del Maryland. I limiti di genere sono sicuramente qui più rispettati, e la compattezza nonché la comprensione dell’album sono fortemente aiutate da questa uniformità. Più fruibile senza essere assolutamente più accessibile, “Omega” è una specie di ossimoro sonoro. L’approccio è duro e scevro di aspetti commerciali, eppure l’intero album è più comprensibile rispetto alla sua controparte, e richiede meno sforzi per entrare nel mood. “Reprise” è solo un minuto e mezzo di enigmatica intro, ma “The Bad Thing” mette sicuramente le cose in chiaro con uno spessissimo muro di chitarre djent, condito da una prestazione arzigogolata di Halpern e da un Sotelo molto aggressivo. Il sound è più pesante, più potente ma anche più scarno se confrontato con la stratificazione mirabile dell’opener di “Alpha”, “MK Ultra”. Dopo una corta intro acustica “Priestess” abbassa un po’ il tiro regalanodoci un brano più accessibile, ma subito dopo “Graveless” ci da un brusco scossone, fornendoci un Sotelo assolutamente crudo e cattivo anche sulle parti arpeggiate. Importante qui è anche l’uso dell’elettronica, sicuramente diverso rispetto ai brani di “Alpha”. “Hell Below” rimane intensa e pesante, confermando l’uniformità stilistica che questo capitolo si prefigge di mantenere. Si arriva poi al brano che funge da cardine per l’intero “Omega” ovvero la title-track, undici minuti di… beh, di tutto. Ben lontano dall’essere un uniforme monolite sonoro, “Omega” cambia nel corso della sua notevole durata le centinaia di riff che ci aspettiamo, ma è pero indubbio che una certa matrice, più che altro posta sulle vocals, contribuisca anche qui a creare un senso di continuità con le precedenti canzoni. La psichedelia di “Stranger Things” chiude l’album e non basta a smorzare il pesante approccio strumentale: l’autore di un per quanto leggero ‘ammorbidimento’ del sound è invece Sotelo, che si fregia proprio in chiusura di una prestazione vocale sicuramente interessante. Il lato più tradizionale e forse amato dei Periphery è tutto qui, presentato al meglio della sua forma.