7.5
- Band: PESTILENT HEX
- Durata: 00:41:56
- Disponibile dal: 08/07/2022
- Etichetta:
- Debemur Morti
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Per chi è solito seguire gli sviluppi del circuito underground death metal e death/doom, l’operato di LL (o, più semplicemente, Lauri Laaksonen) non sarà certo un oggetto misterioso. D’altronde, fra Convocation e Desolate Shrine, il polistrumentista finlandese ha saputo farsi segnalare come una penna particolarmente audace e ispirata, confezionando una serie di dischi dall’alto tasso visionario e cinematografico in compagnia di vari amici/cantanti, da MN dei Dark Buddah Rising alla coppia MT/RS (rispettivamente Sargeist e Lie in Ruins). Il discorso – tutto sommato – si ripete anche per Pestilent Hex, progetto che il Nostro ha messo in piedi con il veterano M. Malignant (Corpsessed, Tormentor Tyrant, Tyranny) e che la Debemur Morti ha pensato bene di intercettare e mettere sotto contratto per la pubblicazione di questo esordio sulla lunga distanza, la cui formula ha però poco da spartire con quella dei recenti, pesantissimi “Succumb to Rot” e “Fires of the Dying World”.
Come dichiarato dalla stessa coppia di musicisti in sede di presentazione, infatti, “The Ashen Abhorrence” nasce con il preciso intento di omaggiare e rinverdire i fasti della mitica scena symphonic/melodic black metal di metà anni Novanta, quando realtà come Obtained Enslavement, Emperor o Dissection infestavano con la loro presenza spettrale i sogni e gli stereo di tanti giovani ascoltatori. Un’opera dal carattere fortemente filologico, quindi, nostalgica senza però dimenticarsi che il ’94 è ormai trascorso da un pezzo, e che la magia di quel periodo storico non potrà mai essere riproposta in maniera pedissequa e inalterata. Partendo da questo concetto, la band opta per una produzione assolutamente al passo con i tempi e per un gusto in sede di arrangiamento un filo più moderno rispetto a quello di tanti altri cultori di “In The Nightside Eclipse”, tutti elementi che – ancora una volta – finiscono per esaltare il tocco narrativo del mastermind e tenere a distanza sentori troppo old school.
Le influenze sono comunque evidentissime, e le atmosfere evocate dal dipinto in copertina trovano riscontro in un pugno di brani che sembrano volerci spedire fra le ombre e le nebbie di una foresta illuminata dal chiaro di Luna, braccati da qualche entità maligna. Un impianto sonoro che fluisce morbido su un tappeto di riff avvolgenti – aggressivi anche se mai troppo efferati – e tastiere ora ampollose, ora fantasmagoriche, ora sottili e appena percettibili, indispensabili nell’economia melodica del disco, con lo screaming acido del frontman a chiudere un cerchio al cui interno ogni dettaglio è stato evidentemente ponderato con cura. Il risultato finale è dunque fluido e compattissimo, pregno di una dimestichezza che solo anni di esperienza alle spalle possono riuscire a conferire; un tributo sentito a quello che, con ogni probabilità, ha costituito una parte fondamentale del background del duo, in cui l’ovvia mancanza di personalità è sopperita da un songwriting vivace e autorevole.
Episodi come l’opener/titletrack, “Nature of the Spirit” e la conclusiva “Banishment” sono la prova che sinfonico non è sinonimo di kitsch, e che il filone – come già mostrato recentemente da Stormkeep e Katharos – sa farsi ancora valere all’interno del panorama extreme metal.