7.0
- Band: PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS
- Durata: 00:53:26
- Disponibile dal: 13/11/2020
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Esattamente vent’anni fa, tali Motörhead sparavano sulla folla un album il cui titolo suonava come un vero e proprio monito: “We’re Motörhead”. Tre parole sintetiche e dirette che riassumevano perfettamente la roboante energia trasmessa dalla band inglese: da Lemmy a Mikkey Dee sino a Phil Campbell. Un’esortazione, ripresa oggi proprio dal chitarrista gallese che ha voluto radunare nuovamente i propri figli per dar vita, insieme al cantante Neil Starr, al secondo capitolo della sua nuova creatura-passatempo. Dopo l’esordio sulla lunga distanza del 2018 targato “The Age Of Absurdity”, i Phil Campbell And The Bastards Sons ci presentano questo “We’re The Bastards”: tredici brani (anche troppi a dir la verità) striati di rock e blues su cui viaggiano a menadito i deliziosi assoli dello stesso Phil. Come ben rappresentato dalla cover dell’album, infatti, Campbell senior, da buon padre, si gode a capotavola il lavoro della sua famiglia allargata, entrando costantemente in ogni pezzo a dare il suo prezioso contributo. Discreta la prestazione dei tre figli (Todd, Tyla e Dane), meno quello del singer Starr il quale, a conti fatti, risulta essere ancora una volta la vera spina nel fianco del gruppo: pur essendo migliorato dal punto di vista prettamente tecnico, permangono tuttavia delle carenze a livello interpretativo che gli impediscono di imprimere il giusto impatto emozionale ai brani andando così ad appiattire il pathos generale. Nessuno intende dire che dietro quel microfono ci sarebbe dovuto essere qualcun altro… sia chiaro, e nemmeno un cantante con la voce simile a quella di Lemmy: ciò che comunque appare evidente è che il buon Neil dovrà lavorare maggiormente in futuro sul mordente della propria ugola in modo da caratterizzare ulteriormente il proprio operato.
Detto questo, pur seguendo la trama sonora del precedente full-length, “We’re The Bastards” si fa preferire nella sua globalità grazie al tentativo, superato, di cercare ulteriori spunti che andassero oltre i classici up/midtempo goderecci e grintosi presenti in “The Age Of Absurdity”. Se infatti pezzi come la titletrack, “Animals” ed “Hate Machine” ricalcano a grandi linee quanto ascoltato sul primo album, la big Campbell family ci regala una serie di episodi davvero interessanti come “Born To Roam”, “Bite My Tongue” (la migliore del lotto), “Waves” e “Desert Song”, approfondendo così la sperimentale e blueseggiante “Dark Days” di due anni fa. Vi è una rasoiata punk, “Destroyed”, di forte derivazione Ramones e (non poteva mancare all’appello) pure un brano che rimanda al Motörhead sound (o derivati, visto che in questo caso parliamo dei Probot), con “Son Of A Gun” la cui strofa strizza più di un occhio alla lussuriosa “Shake Your Blood”. E chiudiamo un occhio se almeno una manciata di pezzi poteva starsene tranquillamente nel cassetto: il tocco alle sei corde di papà Phil riesce a mettere una toppa sopra una serie di filler sinceramente evitabili e poco incisivi. Ricordando il tempo che fu, i Bastards Sons di ‘Wizzo’ Campbell ci portano una sana e genuina dose di rock puro, senza alcun archetipo del caso, ma saldata dalla pura passione di suonare in compagnia, o meglio in famiglia.