6.5
- Band: PIG DESTROYER
- Durata: 00:32:19
- Disponibile dal: 25/10/2004
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Self
Spotify:
Apple Music:
Questo nuovo full length dei Pig Destroyer non si può dire che abbia particolarmente esaltato chi scrive. “Terrifyer” doveva essere il disco della maturità, il disco migliore della carriera del terzetto statunitense e invece, una volta ascoltatolo ed assimilatolo, resta un bel po’ di amaro in bocca, una delusione certo non immensa ma comunque piuttosto fastidiosa! I Pig Destroyer con il precedente “Prowler In The Yard” (ma ricordiamo anche il buono “38 Counts Of Battery”) si erano fatti segnalare come una delle formazioni più interessanti del roster Relapse, nonché come una delle più creative e folli dell’intera scena estrema statunitense. Il mix di grindcore, death metal, thrash, punk e puro heavy metal lanciato a velocità quasi parossistiche di “Prowler In The Yard” aveva rappresentato una delle più grandi sorprese del 2002: si trattava di un album violentissimo, malato, disturbante ma anche incredibilmente vario e conciso… schegge impazzite di metal estremo, nella sua accezione più ampia, condite da testi nerissimi e perversi, tutti incentrati sulle vicende di un maniaco serial killer! Secondo la band questo doveva essere un album ancora più pesante, vario e dinamico – parole che avevano fatto alzare ulteriormente le aspettative per questo seguito – invece, come purtroppo spesso accade, “Terrifyer” si dimostra solo raramente all’altezza dei suoi due predecessori. Ciò non è assolutamente dovuto al deceleramento delle ritmiche o alla struttura lievissimamente più elaborata di alcune canzoni (differenze che un conoscitore della band non potrà fare a meno di notare dopo mezzo ascolto), bensì alla scontatezza di molti dei riff portanti utilizzati in questo episodio. “Terrifyer” è sicuramente il disco più pesante della storia dei Pig Destroyer anche se, a livello di riffing, è senz’altro il più derivativo. Qui manca sovente quella personalità e quella capacità di rivisitare in chiave estrema gli elementi old school che avevano reso grande “Prowler In The Yard”. Sembra che i nostri in questa occasione si siano spesso accontentati di assemblare le song prendendo in prestito riff dai generi o dalle band ai quali sono più affezionati senza metterci farina del loro sacco. Il risultato il più delle volte non è poi neanche malvagio ma, ad esempio, in certe parti mosh pare quasi di ascoltare gli Anthrax con un invasato dietro al microfono! Poi a coloro che amano incondizionatamente certe sonorità questo di sicuro non dispiacerà ma onestamente chi scrive si aspettava un pizzico di personalità in più da questa formazione, soprattutto a questo punto della sua carriera. Lavoro solamente discreto.