7.0
- Band: PLANETHARD
- Durata: 00:46:30
- Disponibile dal: 17/02/2012
- Etichetta:
- RNC Music
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Cosa succede se rivestiamo una creatura come l’essere umano, con le sue emozioni e le sue sensazioni, la sua forza e la sua fragilità, dentro una cromata e luccicante armatura di metallo? Chi tra voi è fan del cinema Marvel potrà facilmente rispondere “Iron Man”, ma in questa sede non è del supereroe in armatura rossa e oro che vogliamo parlare. Nel nostro caso, una risposta più azzeccata sarebbe: “No Deal”, il secondo album dei nostrani Planethard. A distanza di quattro anni da “Crashed On Planet Hard”, la band capitanata dal bravo cantante Marco Sivo torna infatti sul mercato con un prodotto che prende il lato umano dell’esordio, quella energia e quella umanità provenienti dall’hard rock che contraddistingueva il loro sound, e lo ricopre di una solida colata di metallo, che riveste l’intero sound con una lucente armatura metallizzata. Questa è l’impressione che ci viene ascoltando questo nuovo, energico prodotto: un ottimo esempio di hard rock sanguigno e combattivo, in cui le chitarre risultano ispessite e compresse, pronte ad esplodere in un sound prettamente metallico sulla base piena di groove creata dalla buona sezione ritmica. Una sorta di Slash solista pompato, potremmo dire, con qualcosa di più americano come Nickelback o Velvet Revolver, ma dotato di una produzione decisa e brillante, che mette in mostra appunto il lato più duro della musica, senza le tentazioni mainstream da classifica delle band sopra nominate. Come dice il titolo, “No Deal”, letteralmente ‘nessun accordo’, questo disco non viene incontro a nessuno: dodici pezzi, di cui una cover, generalmente rabbiosi e carichi di vibrazioni pesanti ma anche melodia, che prende forma in tutti i ritornelli dei vari pezzi e garantisce quella fruibilità che il monolitico muro delle chitarre di Marco D’Andrea altrimenti non permetterebbe. Quasi tutte le canzoni presenti in “No Deal” giocano sulla contrapposizione tra la pesantezza di un fraseggio che favorisce la sostanza alla classe e la buona duttilità delle prestazioni solistiche – si tratti sia della bella e versatile voce di un Sivo molto migliorato nel suo range interpretativo che degli ispirati assoli del già citato chitarrista D’Andrea. L’inizio dell’album è decisamente dei migliori, con il suo pezzo da novanta “Ride Away” a fare da opener, mostrandoci subito come la cupezza e la pesantezza della ritmica si sposino bene con l’intenzione catchy delle melodie, soprattuto nel ritornello. Anche le successive “This World” e “Abuse” fanno la loro buona figura, portando avanti il discorso di robustezza cui tanto abbiamo parlato, fino alla prima virata verso territori più canonicamente hard rock con la melodica “To Tame Myself”. Da quella traccia in poi il disco è una continua alternanza di riff robusti, energia portata dalla sezione ritmica e la tendenza melodica mostrata da Sivo nei buoni ritornelli. A parte lo scivolone di “Empty Book Of Friends”, un po’ troppo stradaiola e scanzonata per il clima dell’album, e qualche pezzo leggermente sottotono rispetto all’ottima partenza, il disco rimane su livelli interessanti, arrivando sempre con la sorpresa o la brusca sterzata nei momenti in cui l’ascoltatore sembra essersi assuefatto alle sonorità dell’album, mantenendo buona l’attenzione. Un bel ritorno di una valida band italiana, che si rifa il lifting in vista del secondo decennio del nuovo millennio e – lo speriamo – in vista di altri lunghi anni di buona musica registrata.