7.0
- Band: PLANETHARD
- Durata: 00:45:37
- Disponibile dal: 13/10/2014
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
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Dare per scontato i Planethard, lo confermiamo adesso dopo ripetuti ascolti dati a questo “Now”, è un errore che non si deve compiere. Nati con la connotazione di hard rock band dalle ispirazioni ‘classiche’ (un po’ Skid Row, un po’ Mr. Big e un po’ sleaze), già col successivo “No Deal” avevano optato per lasciare emergere spigoli e asperità sul debutto non visibili. Il chitarrismo nervoso ed esplosivo di Marco D’Andrea diventava su quel disco fondamentale nella musica dei Planethard, e un suono più moderno e massiccio prendeva il controllo anche degli altri strumenti, forgiando un sound che definire hard rock era riduttivo. “Now” sfasa ancora le regolazioni della musica della band lombarda; e stavolta siamo in presenza di un prodotto che deve molto alle correnti alternative dell’hard oltreoceano (Alterbridge) e anche qualcos’altro alla musica più groove e pesante al limite con le digressioni metal di Mark Tremonti. L’elemento chiave supportante queste novità è il nuovo singer, il talentuoso Davide Merletto, il quale è dotato di una timbrica meno alta ed elegante rispetto al predecessore Sivo ma più ruvida e colorata, che si adatta molto all’impasto musicale attuale. Il disco ‘esplode’ subito con la prima traccia “Play Harder”, la quale funge da ottimo biglietto di presentazione. Un riff carico, gonfio, sulla falsa riga di quanto si può ascoltare da Zakk Wylde nei Black Label Society, attacca infatti subito le nostre orecchie, ma è il nuovo arrivato Merletto a fare la parte del leone, reggendo sulle proprie spalle la caratterizzazione delle belle melodie composte. Le successive “The One” e “Awake” sono molto alternative, distinte da ritmiche più dinamiche e tirate. I ritmi in ambo le song sono alti; ma a prevalere qui più che la melodia è la ricerca di soluzioni ritmiche atipiche, spesso più convulse anche di quanto fosse lecito aspettarsi. Il quarto pezzo, “Neverfailing Superstar”, dopo tanta fisicità segue invece un approccio più ragionato. Si rinuncia a velocità e dinamismo ma non alla pesantezza sonora: le chitarre sono ancora molto spesse, anche se l’attenzione in generale tende ad essere più attratta dalle sinuose evoluzioni della voce di Merletto che da altro. La rodata sezione ritmica si distingue per la propria compattezza nella Tremontiana “15’ Of Fame”, durante la quale rimaniamo favorevolmente impressionati dal gioco percussivo che si ascolta tra un freseggio e l’altro. La tensione nervosa che anima l’album non tende a domarsi, e sia “Inglorious Time” che “Shall We Be Safe” sono piuttosto elettriche seppur in modo diverso: la prima alterna strofe liquide a ritornelli più rumorosi, mentre la seconda mantiene tiro e velocità per tutta la sua durata. Dopo quest’ultima mazzata, la successiva, “Don’t Say Goodbye” con i suoi echi quasi da Nickelback, ci sembra quasi fin troppo leggera, ma dobbiamo ammettere che un po’ di radiofonicità i Planethard dovevano darcela dopo tanti pezzi così carichi! La grintosa “She’s All Over” e l’articolata “Fight It Out” sono due brani di nuovo sbilanciati sul lato metal, con l’hard delle origini a condire il solo comparto melodico del cantato di Merletto. Il pezzo chitarristicamente più pesante del lotto arriva solo adesso e si intitola “Underworld”: con tutte le svisate e i fischi che D’Andrea emette col suo strumento non può non venirci ancora una volta in mente il barbuto Zakk. Conclude “Now”, la title-track, canzone dai sapori ‘USA’ all’insegna di una melodia finalmente più marcata. Non c’è che dire, la propria strada i Planethard se la stanno rapidamente scavando, quindi aspettiamo il prossimo album per vedere cosa succederà! Nel frattempo i complimenti per il bell’album sono d’obbligo.