7.5
- Band: PLANNING FOR BURIAL
- Durata: 00:43:00
- Disponibile dal: 30/05/2025
- Etichetta:
- The Flenser
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Otto anni sono un’eternità nel ciclo naturale della musica contemporanea, ma nel mondo di Thom Wasluck, mente e cuore dietro Planning For Burial, il tempo sembra seguire regole diverse. “It’s Closeness, It’s Easy”, nuovo full-length album del progetto, arriva dopo il celebrato “Below The House” (2017), ma anziché rincorrere un’evoluzione forzata, si presenta come una naturale estensione, un affondo ulteriore nella poetica dell’abbandono, dell’intimità e della lenta disgregazione.
Se il disco precedente rappresentava il ritorno a casa e l’adesione a una nuova fase di vita adulta, questo nuovo lavoro guarda oltre, verso i piccoli dolori sedimentati, i cambiamenti impercettibili ma inesorabili: l’addio a un fedele animale domestico, il logoramento mentale di chi ci è vicino, il declino fisico dei genitori, la lenta erosione del tempo, ma anche l’amore che si fa più profondo.
Il tutto è trattato con un’intimità spiazzante, fatta più di sensazioni che di dichiarazioni, più di crepe che di rovine.
Musicalmente, “It’s Closeness, It’s Easy” ricalca e rielabora tutti i tipici tratti distintivi di Planning For Burial – drone, scorie black metal, doomgaze, slowcore – lasciandoci immergere in una nuova pozza di puro abbandono e malinconia. Certo, vi sono delle sottili differenze tra il nuovo e il precedente capitolo, ma è anche vero che i dischi del progetto sono sempre composti da tracce su registri differenti, con più o meno linee vocali, più o meno chitarre, più o meno freddezza ambient, ecc.
“Below The House”, nella sua varietà, aveva proposto anche qualche parentesi più limpida e orecchiabile, tanto da destare anche l’interesse di ascoltatori fuori dalla nicchia in cui Wasluck si è sempre mosso; addirittura, nel 2018, è arrivato un invito a partecipare al Meltdown Festival di Londra, evento curato da Robert Smith dei The Cure. Davanti a ciò, non stupisce quindi il saliscendi in cui si lancia la tracklist di “It’s Closeness, It’s Easy”, che parte con una “You Think” dalle chitarre struggenti, eppur sorrette da una ritmica particolarmente sostenuta e metallica per gli standard del progetto.
Si potrebbe quindi pensare a un lavoro più acceso nei toni, ma le tracce immediatamente successive spostano tutto su binari più brumosi, con un’atmosfera algida che di nuovo può ricordare il filone doomgaze o anche solo i Jesu di Justin Broadrick. “A Flowing Field of Green” si impone poi come uno dei vertici del lavoro, fondendo la carica emozionale dell’album precedente con una vena abrasiva che non rinuncia alla melodia, anche se annegata nel rumore. È una sintesi fortunata, capace appunto di evocare la stessa emotività lacerante che permeava “Below The House”.
Da questo punto in poi, il disco si snoda come una spirale, alternando episodi più compiuti a parentesi nebulose, in un fluire coerente ma non lineare. Verso la fine, spicca “Fresh Flowers For All Time”, dal ritmo sorprendentemente arioso: c’è qualcosa di quasi estivo in questo titolo, in una melodia che per un attimo alleggerisce l’aria, come una finestra aperta nel mezzo dell’afa. Una tregua apparente che, nel contesto generale, suona come una memoria lontana dell’estate, oppure un sogno mai davvero vissuto.
È interessante notare come il disco, pur non raggiungendo forse la perfezione compositiva e l’uniformità a livello di ispirazione di “Below The House”, mantenga una coerenza emotiva disarmante. La produzione, volutamente grezza ma mai trasandata, restituisce l’ormai tipico senso di urgenza per cui il progetto è noto, suggerendo come il lavoro sia stato composto e registrato in sessioni immersive, come se ogni pezzo fosse affiorato da sé, senza bisogno di essere cesellato, solo riconosciuto e accolto.
In un’epoca che spesso premia l’istantaneità, Wasluck continua a coltivare la lentezza come valore e rifugio. Il suo DIY è una sorta di atto politico e spirituale, una forma di resistenza.
A vent’anni dalla nascita del progetto, Planning For Burial rimane una voce isolata, eppure capace di toccare corde comuni a chiunque abbia conosciuto o stia conoscendo il dolore silenzioso del tempo che passa.
Un ritorno che non stravolge, ma che accarezza e ferisce come un ricordo che si rifiuta di sbiadire.