7.5
- Band: PORCUPINE TREE
- Durata: 00:50:51
- Disponibile dal: 13/04/2007
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Dove è finita l’innocenza? Questa spinosa domanda già da qualche anno si è riproposta con una certa insistenza nella mente del sottoscritto, che nonostante la relativamente giovane età si è trovato inerme a contemplare il cambiamento dei tempi, in una nuova era dove le generazioni cambiano così velocemente. Vedere ragazzini di dieci anni lobotomizzati davanti ad uno schermo (del PC o della televisione), con il mondo letteralmente a loro gratuita disposizione, disposti già a quella tenera età a viaggiare costantemente (e poco coscientemente) sul filo della legalità, esponendosi con grande facilità a notizie e stimolazioni una volta quasi impensabili. E tutto questo a scapito dell’innocenza, delle vecchie e care divisioni tra ciò che ci è concesso fare e ciò che invece spetta ad altri. E se questo è il nuovo trend, non è difficile immaginare generazioni future prive di immaginazione, di spirito combattivo. Questo è l’argomento principale su cui Steven Wilson si concentra nel nuovo album dei suoi Porcupine Tree, intitolato “Fear Of A Blank Planet”. Uno sguardo infantile illuminato da uno schermo campeggia in copertina, contribuendo a creare una prima coltre di oscura rassegnazione, che si riversa su di noi sulle note della implacabile title-track, l’ultimo guizzo capace di catapultare definitivamente la band in questi territori sonori, dove il progressive rock si mischia alle ariose melodie quasi Beatles-iane, per sprofondare nelle oscure atmosfere dei vecchi e cari Pink Floyd, i veri maestri di Wilson e soci. Qui è tutto più calcolato, però, e le digressioni psichedeliche della prima fase della carriera della band inglese sono utilizzate in modo regolato, funzionale alla più alla canzone che non all’album nella sua globalità. Da notare i fantastici inserti orchestrali, tanto perfetti da graziare letteralmente una canzone non eccezionale come la semi-acustica “My Ashes”. Ci pensa la lunghissima “Anesthetize” (quasi diciotto minuti) a ristabilire le giuste proporzioni, accompagnandoci con disinvoltura dall’oscurità al noise, all’assolo tecnicamente ineccepibile di Alex Lifeson dei Rush, fino ad arrivare all’attacco frontale di chitarre iperdistorte, capaci di disegnare riff e melodie che riportano alla mente il capolavoro della band, quel fantastico “In Absentia” che tanta fortuna ha portato a Wilson & co. Uno sguardo all’ultimo “Deadwing” con l’affascinante “Sentimental”, vicina per melodie al vecchio classico della band “Waiting”, uno dei pezzi più belli mai composti dai Porcospini. Una chitarra acustica sempre in primo piano, infinite stratificazioni effettistiche in sottofondo, il piano superlativo del genio Richard Barbieri, una citazione di “Trains” ed una melodia immediatamente memorizzabile, sono i punti salienti di questo fantastico pezzo, uno dei migliori di questo viaggio lungo sei tracce. Caotica e parzialmente inconcludente è la successiva “Way Out Of Here”, dotata sì di una buona melodia ma ‘annacquata’ da un inutilissimo inserto di Robert Fripp e dei suoi Soundscapes, affascinanti tappeti di chitarra stra-effettata che in questo contesto appaiono troppo slegati dal resto del pezzo. Chiude in modo acido e sinistro “Sleep Together”, come se la band volesse ricordare a tutti che un po’ di rabbia c’è ancora, abilmente nascoste dietro le melliflue melodie, in un disegno che così abilmente rappresenta la schizofrenia sempre più diffusa nel nuovo millenio. Da applauso la chiusura orchestrale, evidenziata anche dal mixing. Un mixing che nell’economia globale dell’album non fa gridare al miracolo, consegnandoci un suono di chitarra talvolta eccessivamente ‘affossato’, che ricorda solo vagamente il suono deluxe di “In Absentia”. Ma conoscendo le abilità di produttore del factotum Steven Wilson, non possiamo escludere che questo sia un risultato voluto. O saranno solo le solite dietrologie tipiche del fan ottuso? Forse solo il tempo ci darà ragione…