7.0
- Band: PORT NOIR
- Durata: 00:45:19
- Disponibile dal: 10/05/2019
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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Fra le nuove frontiere di contaminazioni all’apparenza improbabili, si stanno distinguendo da qualche anno a questa parte gli svedesi Port Noir. Avvistati nel 2017 in tour con i Pain Of Salvation – tanto per dire a quale pubblico intendano avvicinarsi – l’anno prima avevano rilasciato il secondo album “Any Way The Wind Carries”, che ne illustrava dettagliatamente l’identità poliedrica e furbetta. Prog lucente e corposo di impronta nordica, contaminato di pop, elettronica, alternative, romanticismo radiofonico, barlumi gotici e vocalizzi ammiccanti alle pose di Maynard Keenan o a quelle di Matt Bellamy: un concentrato di sonorità di facile acchiappo, buono anche per andare a prendersi la gioventù affamata di prog-djent alla Uneven Structure-Tesseract. “Any Way The Wind Carries” ha schiuso le porte al gruppo per un deal con Inside Out, segno di quanto il terzetto stia guadagnando consensi grazie a uno stile che può apparire una mera semplificazione e montaggio degli influssi di partenza, ma nasconde al suo interno conoscenze musicali non banali e ottime abilità nell’architettare piccole hit.
Sfrondata ulteriormente la complessità ritmica, i Port Noir vanno dritti al punto, con attacchi dei singoli brani immediatamente esplicativi di quello che sarà il loro sviluppo. A grandi linee, pare di ascoltare dei Muse in versione alternative metal, bravi nell’entrare nel vivo del discorso e offrire spunti accattivanti in ogni dove. Sia una conturbante linea di tastiera, il ruminare metallico del basso, un groove martellante e ballerino dei tamburi, la band indovina sempre la scelta ottimale. Sugli scudi stanno la voce al miele, vicina all’ideale del gothic rock da classifica, di Love Andersson e il riffing compresso di Andreas Hollstrand, che rimesta avidamente in un calderone di suoni grossi e tellurici, prediligendo le sfumature di sicuro e oceanico appeal. I musicisti dichiarano anche influenze r’n’b, e hip-hop, generi che non entrano in modo così manifesto in tracklist, ma si intravedono in alcune sincopi e metriche vocali di Andersson.
Costruito per piacere e tenere appiccicata un’audience appassionata di sonorità dure ma che non disdegna escursioni nella leggerezza del pop più frivolo, “The New Routine” centra il bersaglio quasi senza sforzo, inanellando tracce che congiungono impatto, raffinatezza, languori adolescenziali e cinico calcolo. Proprio su quest’ultimo aspetto smorziamo un attimo gli entusiasmi, per un disco riuscito e che a un ottimo piano di battaglia fa seguire una resa sul campo ineccepibile. Da “Old Fashioned” a “Out Of Line”, le formule adottate non prevedono azzardi particolari, nessun atto di coraggio o desiderio di compiere sterzate sorprendenti: ogni dettaglio è levigato per garantire un risultato sicuro, l’andamento ritmico rimane pressoché costante dal principio fino al termine di ogni canzone e le melodie principali paiono studiate per indulgere in sentimentalismi. Perfettini, azzimati nella loro identità per rispondere perfettamente al mercato, i Port Noir difettano di cuore e passionalità. Bravi, per carità, ma la ‘carineria’ insistita alla base della loro proposta qualche riserva ce la lascia…