POSTMORTAL – Profundis Omnis

Pubblicato il 06/05/2025 da
voto
7.5
  • Band: POSTMORTAL
  • Durata: 00:56:33
  • Disponibile dal: 09/05/2025
  • Etichetta:
  • Aesthetic Death

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Provengono dalla cattolicissima Cracovia, i Postmortal, ma ci sentiamo di affermare che non siano esattamente dei principi della devozione. Hanno giusto in comune con tutto quell’apparato religioso la scelta del titolo in latino per il primo album, arrivato dopo uno split e un EP editi nel 2018. Quello stesso anno aveva segnato anche l’ultimo anno di attività, a causa di una line-up ballerina, fino alla nuova messa in moto nel 2024 per opera di due membri fondatori, Michał Skupień (tutti gli strumenti) e Dawid Dunikowski (voce e liriche).
Una lunga gestazione quindi, alimentante ora una cascata di densa materia nerastra funeral doom, incline a una corposità contorta, sfibrata e corrotta che ha molto a che spartire con black e death metal, infilando i musicisti esteuropei nelle correnti più estreme e malvage di questa musica.
Bando alla poesia e al romanticismo, quindi, sostituiti da movenze limacciose, dove è un senso di plateale morbosità, di sentori miasmatici, a prendersi la scena. “Profundis Omnis” appartiene alla categoria di opere che prima ti gettano a terra, ti sfiniscono e solo in un secondo momento vanno cercando un dialogo, un’apertura, un modo per farsi capire: superato infatti il primo, periglioso impatto con il suo apparato di lutto e minaccia, l’album mostra una sua profonda sensibilità melodica e atmosferica, giocando efficacemente con vuoti e pieni, distorsione ottenebrante e buongusto per arpeggi e melodie ombrose.
L’incedere ritmico, un rintoccare al rallentatore, abbinato ad affreschi gotici affascinanti, porta facilmente nel plumbeo mondo degli Evoken, soprattutto quando si concedono ampiamente alla lentezza e ad un pizzico di astrattismo, ondeggiando nell’immobilismo, prendendo tempi lunghissimi ed evitando stacchi strumentali bruschi.
Appena in secondo piano, affiorano delle efficaci sortite nella psichedelia, in questo accostandosi agli eccellenti Assumption di “Hadean Times”, alfieri di un funeral doom piuttosto elastico e ricco di riferimenti dal piglio avant-garde, ma senza esagerare. Il breviario di dolore dei Postmortal, al contrario della band italiana, predilige registri abbastanza minimali, riuscendo nel non facile compito di lavorare di sottrazione: ciò avviene riducendo al minimo il lavoro della batteria, senza sacrificarne l’autorevolezza.
Pure le chitarre non martellano con troppa foga, anzi, si sciolgono spesso in armonie gelide, quasi cinematografiche, tant’è che alle prime fruizioni l’album può apparire fin troppo fermo, sonnolento; bisogna quindi sondarne per bene gli abissi, andando a cercarne la vera essenza, che se si ha dimestichezza con il genere non tarda poi molto a manifestarsi.
Ai Postmortal, un po’ come ai già citati Evoken, non dispiace pennellare di qualche finezza il proprio torvo discorso, come l’utilizzo di una voce femminile in “Decay Of Paradise”, o il vocione ecclesiastico sul finale di “Queen Of Woe”, mentre in altri casi sale un immane carico di angoscia, riecheggiando gli estremismi sonici e concettuali dei finlandesi Tyranny (“Darkest Desire”).
La seconda metà, ribadendo i medesimi concetti delle prime tre tracce, rimane leggermente meno continua e forse si sarebbe potuto limare qualcosa nel minutaggio. Nella sua totalità, l’album non presenta comunque cali sostanziali e ha dalla sua una mortifera compattezza, non lontana dai migliori esponenti della scena funeral doom contemporanea.
Un’opera smaliziata e personale, “Profundis Omnis”, sfaccettata per i canoni del genere, sfinente quanto basta e perennemente gravata di negatività. Nella sua totalità non avvincente – almeno, non nella sua interezza – come le pubblicazioni dei già nominati Evoken, Tyranny o Assumption, ma nemmeno così distanti da quei vertici creativi. Speriamo non scompaiano nuovamente nell’oblio da cui provengono.

TRACKLIST

  1. Fallen
  2. Darkest Desire
  3. Decay of Paradise
  4. Prophecy of the Endless
  5. Queen of Woe
  6. The Masterpiece of The Thing That Once Was But Will Never Be
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