7.5
- Band: POWERWOLF
- Durata: 00:40:28
- Disponibile dal: 16/07/2021
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Il sound e le tematiche dei teutonici Powerwolf sono ormai qualcosa di inconfondibile e al limite dell’istituzionale, con un elevato numero di amanti e odiatori sparsi in tutto il globo, ed è quindi prevedibile che nemmeno in questo nuovissimo prodotto Attila Dorn e compagni abbiano voluto collocare delle trovate esageratamente estranee alla formula che li ha resi una delle metal band più popolari al mondo. Ciò potrebbe far storcere (nuovamente) il naso a chi, ad ogni loro uscita, esterna le proprie considerazioni riguardo la ripetitività di fondo che si può, volendo, percepire ascoltandone la discografia; ma al contrario, la fanbase dei lupi clericali per antonomasia non potrà che gioire ascoltando ogni singolo passaggio di questo “Call Of The Wild”, che già dal titolo sembra voler far sapere a qualsiasi possibile fruitore che i Powerwolf sono questi e che non c’è verso di farli cambiare, ma nemmeno di impoverirne le capacità compositive e di intrattenimento artistico.
Diciamo questo poiché, dopo numerosi ascolti, possiamo confermare che l’efficacia delle undici canzoni che compongono la tracklist non ha nulla da invidiare a quella del precedente “The Sacrament Of Sin”, con il quale condivide anche in parte uno dei temi evidenti dei minuti iniziali: parliamo ovviamente del fuoco, ardente e accecante nell’ormai ben nota “Fire & Forgive”, così come nella nuova “Faster Than The Flame”, simile ad essa anche sul versante puramente musicale, con delle strofe grintose e un ritornello ficcante degno del posto di probabile opener della scaletta su cui verterà il loro prossimo tour mondiale. Si prosegue poi con il primo singolo “Beast Of Gévaudan”, già disponibile da tempo sul web e con già una folta schiera di apprezzatori, stregati probabilmente dal suo incedere aggressivo ed incalzante, abbinato come sempre a quella orecchiabilità di fondo che non può mai mancare nel primo estratto promozionale del nuovo album in studio. Discorso simile per il secondo singolo “Dancing With The Dead”, che sacrifica parzialmente la componente feroce per favorire quella più danzabile, con risultati sorprendenti considerando il piglio non indifferente dato dall’esaltante chorus. In “Varolac” troviamo un piacevole accostamento tra il cavernoso main riff e le improvvise accelerazioni di matrice power metal al 100%, mentre “Alive Or Undead” e “Blood On Blood (Faoladh)” ci spiazzano entrambe a modo proprio: la prima con la sua natura da ballad anche più toccante di quanto fosse lecito aspettarsi, e la seconda con un sound ricco di contaminazioni celtiche, degne del soggetto preso in analisi, ovvero la leggenda dei famosi lupi mannari di Ossory, che guarda a caso è un regno dell’Irlanda risalente al primo medioevo.
Immancabile il brano in lingua madre, rappresentato in questo caso da “Glaubenskraft”, che tradotto significa letteralmente ‘potere della fede’, cui segue una titletrack dalla parvenza malinconica, ma nel contempo luminosa, epica ed evocativa, in pieno stile Powerwolf e assolutamente degna di sfoggiare il titolo del loro ottavo lavoro in studio. Al contrario, “Sermon Of Swords” assume delle connotazioni simili a quelle tipiche degli svedesi Amaranthe, seppur senza inserti elettronici effettivi, ma con un ritornello ancora più danzabile e memorizzabile di quello della sopracitata “Dancing With The Dead”, che comunque si manteneva su livelli decisamente più graffianti. Similmente, “Undress To Confess” con un po’ di fantasia non stonerebbe all’interno di un disco dei Sabaton, se si escludono il timbro del buon Attila e il testo blasfemo e a tratti irriverente, come da tradizione. Questo dimostra che, esattamente come nel predecessore, i Powerwolf hanno mantenuto la volontà di adottare numerose soluzioni differenti, così da donare una propria identità ad ogni brano, nonché stemperare quel senso di piattezza che aveva iniziato a farsi vivo sei anni fa in “Blessed & Possessed”, che per quanto di buona qualità aveva iniziato a farci temere che questi lupi stessero iniziando a perdere i denti.
La conclusiva “Reverent Of Rats” torna in territori più basilari per la line-up di Saarbrucken, non facendo comunque nulla per sminuire quanto detto in precedenza, ma anzi collocandosi perfettamente nel contesto, riuscendo di fatto a chiudere le danze e nel contempo a farci rendere conto del fatto che ogni brano appena ascoltato si trova ancora lì, ben saldo nella nostra testa grazie a quel piglio incredibile che sta facendo la fortuna di questa e di altre formazioni analoghe. C’è poco da fare, se la propria volontà è intrattenersi senza accendere troppo il cervello, le produzioni dei Powerwolf funzionano sempre dannatamente bene, anche senza avere come target chissà quale fenomeno tecnico o compositivo. Chiaramente possono benissimo non piacere, ma nel caso foste, come noi, piuttosto ben disposti nei confronti della loro peculiare proposta musicale, state pur certi che per l’ennesima volta è stato fatto centro.