7.0
- Band: PRAYING MANTIS
- Durata: 00:57:47
- Disponibile dal: 11/05/2018
- Etichetta:
- Frontiers
Spotify:
Apple Music:
Ci sono band che invecchiano senza mostrare segni di cedimento. Magari evolvono, certo, ma continuano a comporre musica ispirata e di qualità. E’ questo il caso dei Praying Mantis, storica band inglese che ha gettato le basi della NWOBHM negli anni settanta e ottanta (insieme ad Iron Maiden e Saxon) e che ora arriva all’undicesimo disco in studio con il nuovo “Gravity” presentato dal solito artwork ad opera di Rodney Matthews (Magnum, Diamond Head, Allen/Lande) che già si è occupato dei dischi storici della band come “Time Tells No Lies” e “Predator In Disguise” oltre che del recente “Legacy.”. E sembra quasi che in queste nuove composizioni la mantide religiosa non si sia posta nessun limite visto che la tracklist di “Gravity” si muove attraverso generi diversi, distaccandosi, ancor più che nel recente passato, dal metal classico degli esordi. Insomma se la splendida “Mantis Anthem” vi farà ricordare i Kansas con un tocco progressivo e melodie intense, sappiate che non c’è da sorprendersi. Le influenze che vanno dal melodic hard rock fino all’aor sono fortissime come dimostrano “Time Can Heal” e “Destiny In Motion”. Il sound più classico della band, dove vengono fuori tutte sonorità legate alla scena NWOBHM, le troviamo nella riuscita title track e nella trascinante “39 years”, pezzo molto 80s dove i fratelli Troy, insieme all’altro fondatore della band, Andy Burgess, trovano il massimo dell’ispirazione in fase di songwriting mentre il singer John Cuijpers si esalta in un refrain che si stampa subito in testa . Nel finale il disco si alleggerisce fin troppo con le ballatone “The Last Summer” e “Foreign Affair” prima del buon mid tempo “Final Destination” che chiude il disco. Metal classico poco, buona musica tanta in questo undicesimo capitolo dei Praying Mantis.