7.0
- Band: PRETTY MAIDS
- Durata: 00:50:46
- Disponibile dal: 04/11/2016
- Etichetta:
- Frontiers
- Distributore: Frontiers
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I Pretty Maids hanno un grandissimo pregio ed un grandissimo difetto, che guardacaso coincidono: una volta trovata la formula giusta continuano a riproporla identica per più uscite, azzeccando così senza rischi di errore ma anche negando ogni possibile sorpresa all’ascoltatore. Dall’album della rinascita artistica, quel “Pandemonium” uscito nel 2010, che ha riportato la band sui giusti binari, i Pretty Maids hanno prima pubblicato “Motherland” nel 2013 ed ora questo nuovo “Kingmaker” (si, sappiamo che di mezzo c’è “Louder Than Ever”, ma quell’album è da considerarsi fuori discografia), seguendo lo stesso identico canovaccio senza alcuna variazione significativa a sound e songwriting. Quindi eccolo di nuovo qui il sound vincente della band guidata dal duo Atkins-Hammer, quell’hard n’heavy ricco di melodia, tendenze smorfiose e catchy e dotato di molti, generosi, slanci verso il metal classico. Ottima la partenza con disimpegno affidata all’opener “When God Took A Day Off”, apripista per la quadrata e rocciosa title track, in contrasto tremendo con la scioccherella ed ultra catchy “Face The World”, che con “Heavens Little Devil” va a costituire il lato più pop e commerciale del sound dei Pretty Maids. C’è spazio per qualche frangia modernista in questo album, che si nota forte e chiara in “Humanize Me”, “Was That What You Wanted” e “Sickening”, ma questo contemporaneità è limitata e ben mitigata dalla dolce ballad obbligatoria “Last Beauty On Heart”. E come si diceva non manca il metal squisitamente classico nella ricetta, sul quale si basano “Bull’s Eye”, “King Of The Right Here And Now” e “Civilized Monsters”, terzetto che scarica energia vera attraverso le casse dello stereo. Un album quindi per un largo spettro di ascoltatori potenziali. La produzione di Jacob Hansen è da serie A vera, e supporta al meglio partiture forse non ricchissime ma vincenti a priori, ed una prestazione strumentale da parte della band al di sopra di ogni legittimo dubbio; soprattutto sorprende sempre quanto Ronnie Atkins sia sempre e comunque protagonista, con la sua voce, ricca di personalità, che urla e ringhia senza perdere un colpo uscita dopo uscita. Un gran bell’album questo “Kingmaker”, che segue da vicino, anzi, decisamente troppo da vicino “Pandemonium” e “Motherland”. Sarebbe bello per il prossimo lavoro scoprire qualche novità in fase di scrittura.