7.5
- Band: PROCESS OF GUILT
- Durata: 00:43:43
- Disponibile dal: 24/06/2022
- Etichetta:
- Alma Mater Records
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Cinque anni di attesa tra un disco e l’altro stanno diventando la prassi per i Process Of Guilt: dopo “Fæmin” del 2012 e “Black Earth” del 2017, ecco arrivare “Slaves Beneath the Sun”, quinto full-length di una carriera sempre più vissuta nell’ombra e gestita secondo le proprie tempistiche, nonostante un notevole apprezzamento da parte della critica. Evidentemente, il lavoro per il gruppo portoghese si sviluppa lentamente, prendendo il via da pochi spunti ritmici, sui quali poi il quartetto costruisce i vari brani. Come era stato per le ultime opere, il risultato è un album dalla prevalente suggestione cinematica e immaginifica: su una base sempre più scarna – dove la materia sludge e il mood lisergico dei Godflesh hanno definitivamente sotterrato le antiche radici death-doom – le atmosfere misteriose e inquiete di Lynch si mescolano saltuariamente con pillole dell’epica malinconica di Morricone, dando vita a un tappeto sonoro tetro e ondulatorio. La musica dei portoghesi vive spesso in una dimensione astratta, proiettata in uno spazio mentale che oscilla fra passato e futuro. Il perno, in più di un’occasione, è rappresentato dalla sezione ritmica, che si adopera nel progettare e nel reiterare una forte componente percussiva, andando quasi a creare dei propri motivi sotto al lavoro di chitarra. Su questo torbido impasto, il cantante/chitarrista Hugo Santos declama versi che sembrano poi dileguarsi lontani, avvolti in sonorità che riescono a mantenere un carattere ipnotico e ad esprimere sprazzi di melodia anche quando concentrate in tracce di quattro o cinque minuti. Rispetto al comunque apprezzabile “Fæmin”, il tutto appare orchestrato con maggiore senso della misura e dell’equilibrio: i riferimenti sonori sono sempre gli stessi e risultano più che mai evidenti (i primi Neurosis un altro nome imprescindibile), ma, ascoltando “Slaves…”, si ha l’impressione che ogni episodio sia stato più finemente cesellato con la passione e l’attenzione dei migliori artigiani, dove la rielaborazione degli insegnamenti dei maestri si abbina perfettamente a una scorrevolezza nell’ascolto e ad una più chiara semplicità espressiva. Pezzi come “Scars” e “Breathe” mostrano come i Process Of Guilt siano ormai pianamente padroni di questo stile post/sludge dalle fondamenta asciutte, crude e perentorie, dove le citazioni lasciano spesso campo a un’interpretazione sentita e dal forte potere evocativo, sull’onda di quelle arie cinematografiche sopra descritte.