7.5
- Band: PROFETUS
- Durata: 01:05:17
- Disponibile dal: 11/10/2019
- Etichetta:
- Avantgarde Music
- Distributore: Audioglobe
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Un disco che rifletta sul concetto di tempo, il suo scorrere imperturbabile e la sensazione di avvilimento che ciò proclama silenziosamente, quando ben non si capisce come sfruttarlo utilmente, o ci si ripensi con rimpianto, è giusto che sia essenzialmente un concentrato di musica lenta, sofferta, dilatata, greve; quindi funeral doom, la forma metallica che meglio incrina la percezione temporale e porta a rapportarsi all’impalpabilità del tempo in maniera quanto mai relativa e distorta. I Profetus, se anche non se ne conoscesse la storia a sommarie linee – fondati nel 2006, finlandesi, line-up zeppa di musicisti esperti di doom e death metal, due album e un ep alle spalle – fanno subito percepire quanta esperienza e conoscenza del settore possiedano. Lo scorrimento seraficamente tetragono, nella sua struggente malinconia in rovina, emanato dall’immobile titletrack, si riconnette alle ferree tradizioni funeral doom della terra natia. Si scatena allora un rosario di riff lunghi ed enormi, rotolanti come valanga su un piano solo impercettibilmente inclinato, adornati da un organo liturgico, elemento incantatore, evocatore di brume d’incenso e misticismo. Il dinamismo è solo illusorio, si palesa in fretta la sensazione di entrare in una realtà rallentata, dove l’azione lascia completamente il posto a una tetra contemplazione.
Eppure il tono non diventa mai così opprimente e negativo, mettendo i Profetus a un ideale crocevia fra almeno tre importanti realtà del funeral contemporaneo. I primi, scontati vista la comune militanza in entrambi i gruppi di Matti Mäkelä e, live, di Anssi Mäkinen, sono i Tyranny e le loro perverse esplorazioni nel buio; i secondi, sono i romantici pessimisti a nome Skepticism, gli ultimi, a un livello più subliminale, i The Howling Void di Ryan Wilson. Degli autori di “Aeons In Tectonic Interment”, i Profetus hanno la pesantezza death e la capacità di caricare ogni singolo riff di una forza abnorme, non facendogli perdere negatività; dello storico combo di Matti Tilaeus, affiora invece la drammaticità, lo sconforto interiore, indotto dall’organo come dai registri vocali; della one-man band americana, vi è talvolta l’immobilismo, l’indefinitezza, l’affogare in paludi ambient quando le tastiere si vaporizzano e tendono a protrarsi all’infinito. Quel che accade nell’eterea marcia funebre di un angelo moribondo di “Northern Crown”, con le sue intrusioni di flebile voce femminile, dove il discorso verte verso le forme di funeral doom più diluite e meno strutturate, mitigando la luttuosità del genere con velature mistiche di grande effetto.
L’allargamento degli orizzonti e lo schiudersi a un incedere a falcate ampissime si accresce progredendo da una traccia all’altra, così che se l’inizio del disco pare incanalato verso registri più uniformi e vigorosi, il finale digrada nei sospiri e nei mormorii, trovando nel gioco di vuoti e pieni di “Tiarnia” un altro affresco lacrimevole altamente suggestivo. In effetti, lo stemperarsi di ogni animosità e il diradarsi della componente death metal pare giovare all’emotività della proposta, che quando preda degli eleganti dibattersi tastieristici pare assumere un fascino assai più elevato, rendendo manifesta una personalità non così netta quando le chitarre dettano legge e il clima è particolarmente fosco. Nelle atmosfere prettamente cimiteriali e celebrative, al contrario, i Profetus danno il meglio di sé, dosando bene tra l’altro ritmi essenziali e, ovviamente, non propriamente concitati. Il taglio ‘da giorno dei morti’ della seconda metà tracklist, su cui si stagliano alcune voci pulite veramente stupende a ingrigire sentimenti già assai mesti, compensa una certa rigidità percepita in avvio, così che “The Sadness Of Time Passing” si allinea fra le migliori uscite funeral doom di questo 2019, ora entrato nel momento migliore dell’anno per godere di questi suoni.