7.0
- Band: PSYCHEDELIC WITCHCRAFT
- Durata: 00:38:19
- Disponibile dal: 03/11/2017
- Etichetta:
- Listenable Records
- Distributore: Audioglobe
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Non trova pace la vena creativa degli Psychedelic Witchcraft che dopo un EP, un album di debutto ed una raccolta della prima uscita insieme ad alcune tracce inedite uscita i primi mesi di questo anno, si approccia all’uscita del secondo full “Sound Of The Wind”, edito nientemeno che da Listenable Records. Sembra infatti che il rock primordiale e puramente old school del gruppo italiano sia riuscito a trovare una risonanza a livello internazionale, aggiungendo nuovi avvincenti episodi ad una scaletta già qualitativamente molto interessante. Che si decida di spingere più incisivamente su momenti hard, come in “Lords Of War” o “Turn Me On”, o scendere nelle atmosfere misteriose di “Sound Of The Wind” e lievemente aggressive di “Wild We Go”, in ogni caso gli Psychedelic Witchcraft centrano il bersaglio con relativa facilità, insistendo su ingredienti noti, ma pur sempre apprezzati se arrangiati con la dovuta dose di personalità. Dopo alcuni anni di affinamento ed esperienza, il suono della band si è fatto più profondo, pur non perdendo un’efficacia a presa rapida che aveva caratterizzato sin dai primi passi lo stile del gruppo ed ancora riscontrabile nei potenti refrain di cui “Sound Of The Wind” viene riempito. Il singolo “Rising On The Edge”, di sabbathiana memoria e baciato da una fase solistica trascinante al punto giusto, detta il ritmo di una raccolta di brani parimenti irruenti e malinconici dove la presenza assoluta della frontgirl Virginia passa attraverso momenti di diversa intensità ed interpretazione con convincente trasporto, riportando in vita l’eredità della musica anni ’60 e ’70 ma con un occhio di riguardo verso la frizzante leggerezza di act più moderni come Graveyard e Blues Pills. In questo senso, un lavoro come “Sound Of The Wind” si pone in maniera imponente rispetto all’operato di queste band, andando a configurarsi come una valida alternativa rispetto a loro, piuttosto che ad una pallida imitazione di scarsa longevità. Al contrario, sembra che le intenzioni della cantante e compositrice principale, nonché della band che la accompagna, si facciano via via più chiare e decise, consolidando le caratteristiche che più si addicono alla sua musica e provando a sperimentare qualcosa di diverso, come dimostra il finale vagamente progressive della doppietta “Let Be Me Myself”/”Horizons” ed i suadenti cambi tonali della titletrack. Cercando di arricchire l’essenza della loro musica con elementi meno consueti o qualche svarione a livello di strutture, unico difetto che rende lo svolgimento dei pezzi fin troppo omogeneo, siamo sicuri che questa band potrà raggiungere uno status difficilmente attaccabile per quanto riguarda la rievocazione di un feeling musicale d’altri tempi, ma comunque sempre attuale.