7.5
- Band: PSYCHONAUT 4
- Durata: 00:41:26
- Disponibile dal: 25/10/2024
- Etichetta:
- Immortal Frost Productions
Quando c’è da buttarla in tristezza, gli Psychonaut 4 non si fanno pregare. Perché dovrebbero, dopo tutto? Il gruppo georgiano fin dagli esordi di “Have A Nice Trip” è uno dei più autorevoli rappresentati del filone depressive black metal, corrente tutto sommato rimasta incorrotta nei suoi caratteri principali, da quando questa definizione è cominciata a comparire, per indicare forme di black metal particolarmente disperate, tristi e autocommiserevoli.
Contenuti sonori avvolti spesso da terribile asprezza, involucri sonori lo-fi, tendenti a soffocare e nauseare per modi scorbutici, accostamenti sonori tesi più a urtare che compiacere. Uno stile che raramente è uscito dall’underground, mantenendo un’aura malsana e maledetta che altri sottogeneri hanno perso da tempo.
Gli Psychonaut 4 in questo senso hanno finora rappresentato un ponte tra un’interpretazione filologica del DSBM e la sua contaminazione con altri mondi, decretandone una freschezza e una longevità che il grosso del settore non riesce a vantare. Una delle leve per farsi apprezzare anche in Occidente, dove sono una delle rare formazioni di quelle terre ad avere un buon seguito, è il far interagire ritmi e melodie folk della loro area di riferimento nel tessuto sonoro, portando a composizioni equilibrate e dinamiche, tanto tristi e disperate, quanto mosse da ritmi eccentrici e a loro modo stravaganti.
Una miscellanea evolutasi negli anni tra brucianti richiami al black metal puro e grottesche danze macabre, da feste danzanti per anime morenti; con il precedente “Beautyfall”, complice anche una produzione più levigata e profonda del solito, si andava anche oltre, nella contaminazione di generi, componendo un’ideale colonna sonora di atroce mestizia urbana. Presa questa strada, di un parziale distacco dal depressive black metal propriamente detto, gli Psychonaut 4 di “…Of Mourning” non fanno marcia indietro, compiendo un altro viaggio tormentato, ma pieno di energia e un certo tristo e surreale romanticismo, nel black metal più malinconico e lasciato macerato nella sofferenza emotiva.
Dopo l’intro – a suon di lacrime e singhiozzi femminei, tanto per gradire – è lo sporco e dinoccolato incedere di “Mzeo Amodi” a sintonizzarci sulle intossicate turbe mentali dei musicisti esteuropei, che subito fanno filtrare il loro speciale esotismo, grazie anche al cantato in georgiano stretto. Ben presto, tra uno stacco crudamente black metal e una pausa impregnata di malessere, le cantilene della voce principale di Graf e urla belluine, si finisce per essere corrotti e annientati, soggiogati e affascinati da uno stile che sa essere pure orecchiabile. I ritmi e i riff più deliberatamente rock rimandano ai Lifelover e alla loro ambiguità nelle sensazioni evocate, a quei tormenti che potevano sfociare anche in frammenti di suono accattivanti, macabre hit di un mondo corrotto e andato a male.
In “Fiqrebi Mtsukhrisa”, con l’innesto di molteplici ospiti alla voce – tra cui una soave voce femminile – il discorso si amplia, con tenui sfumature gothic a innestarsi in un tessuto solitamente più ruvido e ostile. Frequenti gli arpeggiati e il tentativo di ricercare la bellezza estatica, con il ricorso anche a solismi di chitarra cristallini (ad opera di M.S. degli Harakiri For The Sky) e armonie distese. In effetti, ad ogni canzone gli Psychonaut 4 si slanciano un po’ più in là, allontanandosi dalla corrente depressive in senso stretto. In “Vai Me” una voce dai toni bassi e declamatori si adagia su momenti chitarristici aperti e levigati, muovendosi in un quadro di teatralità tragica, arpeggiati dilatati e, nella seconda metà, un senso di mesta pace, che non era in precedenza nelle corde al gruppo.
Si sentono – a volte più evidenti, in altri casi in modo più sfumato – echi di post-black metal, con le tinteggiature pastellate dello shoegaze che sembrano essersi impossessate dell’animo dei musicisti, quando in precedenza era una putrida, grigiastra marcescenza a farla da padrone. Non che i georgiani si accodino pedissequamente a queste sonorità, le vanno a miscelare a forme di tristezza urbana da sempre, invece, nella loro identità. Ecco allora gli ampi spazi di desolazione di “Sizmrebshi”, che si svuota di rumore e pressione, per lasciare spesso echeggiare la sola voce sgraziata e un basso plumbeo e ipnotico, mentre le chitarre disegnano arie malinconiche, stranamente morbide e confortevoli.
“…Of Mourning” rappresenta un punto di rottura con il passato, staccandosi poco per volta durante il suo corso da quanto la band era riuscita a creare fino a “Beautyfall”. Una trasformazione che potrebbe spiazzare e deludere i fan di vecchia data, ma che ci sentiamo di dire riuscita, anche se al momento pure a noi mancano i brucianti contrasti e l’asprezza amara di “Sana-Sana-Sana – Cura-Cura-Cura” o “Too Late To Call Sn Ambulance”.