7.0
- Band: PSYCHOTOMY
- Durata: 00:41:35
- Disponibile dal: 28/09/2018
- Etichetta:
- Everlasting Spew Records
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È una trasformazione da ricordare quella vissuta dagli Psychotomy. Nel 2015, quando uscì il full-length d’esordio “Antinomia”, eravamo al cospetto di una band acerba, che si dilettava in un thrash-death banale, sporcato di hardcore, dove i comuni denominatori erano quelli della piattezza e della confusione. Quel disco lo stroncammo, poco speranzosi di rivedere all’opera il gruppo con qualche idea convincente da proporci. Tre anni più tardi, gli Psychotomy sono tutt’altra storia. Una narrazione di orrori indicibili e severe punizioni, antri infernali che si spalancano sotto i nostri piedi e catturano in gorghi infami, demoni crudeli che scorrazzano in brulli paesaggi governati dalla sofferenza e lo strazio. L’ingresso di Matt entrato in formazione nel 2015, alla batteria, ha spostato le attenzioni verso un death metal criptico e ferale richiamante la scuola Incantation, grande moda degli anni ‘10 ma, soprattutto e in maniera più che evidente, i Dead Congregation. Per quelle che sono le fosche e ben scolpite trame che si agitano in “Aphotik”, non vale quasi nemmeno la pena scovare altri riferimenti, basta mettere in parallelo l’ormai lanciatissima compagine ateniese e l’ora assai convincente formazione veneta.
L’erculea forza trainante la si rinviene in correnti chitarristiche che miscelano sapientemente brutalità tremenda e sospirante tensione, tendendo sottili fili tentatori tramite flessuose armonie ombrose, squarciate le quali si aprono le chiuse a ritmiche vischiose, impregnate di sogghignante malignità. Come proprio i Dead Congregation insegnano, nel bilanciamento di stacchi marziali ed esplosioni ribollenti la truculenza del death metal può esprimersi con particolare efficacia, atterrendo sotto una veste di indomabile bellezza. Se le scorrerie a velocità elevate, perdendo un pizzico di atmosfera, si assestano su registri di valore ma non così sopra la media, le soluzioni rallentate, lavorate alacremente in riff limacciosi ed enfatici, sono di prim’ordine.
Nell’abbandonarsi convinto a un clima lugubre, oppressivo, risaltano spiccate doti evocative, che oltre ad avvalersi di registri chitarristici variopinti nelle tonalità del nero e del violaceo, hanno dalla loro un growl di straordinaria potenza immaginifica. Su quest’aspetto abbiamo l’aderenza perfetta con gli autori di “Promulgation Of The Fall” e “Graves Of The Archangel”: una voce enorme, ribassata ma relativamente elastica ed espressiva, un veicolo di atrocità che non cede a tentazioni sguaiate o di bieca ignoranza. Non tutti i brani sono al livello di “Ascent Through Malevolence” e “Lethe”, che per la loro natura complessa, il modo articolato con cui si dispiegano e armonie tentatrici svettano di qualche tacca sul resto della tracklist: il resto è comunque di ottima fattura, rispetto ai nomi più rinomati del genere le distanze non sono affatto incolmabili.