7.5
- Band: PSYCROPTIC
- Durata: 00:34:54
- Disponibile dal: 07/11/2018
- Etichetta:
- Prosthetic Records
- Distributore: Audioglobe
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Il settimo album in studio degli Psycroptic arriva a tre anni di distanza dal loro omonimo ultimo lavoro. I quattro australiani della Tasmania si sono guadagnati, con sudore e fatica, un seguito di pubblico discreto per essere una realtà technical thrash-death, sebbene, a detta di molti, meriterebbero molta più visibilità. Da qualche album a questa parte, in effetti la band ha iniziato un lento e costante processo di definizione sonora, accomodandosi sempre di più su lidi tutto sommato più accessibili, grazie a un utilizzo mirato e strategico di elementi melodici. Questo aspetto, unito ad una buona capacità di songwriting, hanno fatto sì che la band acquisisse sempre più seguito. I pezzi degli Psycroptic sono, da sempre, basati esclusivamente su un lavoro di chitarra tortuoso, frenetico, al contempo preciso e tagliente, e proprio questo riffing dal suono così crudo, è diventato un po’ il trademark della band. “As The Kingdom Drowns” non si differenzia sotto questo aspetto, anche se i brani in questa occasione risultano più completi sotto diversi punti di vista. In primo luogo questi hanno assunto un piglio più coinvolgente, crediamo grazie anche ad una produzione più variegata e adatta ai vari momenti dei singoli brani, mentre in passato un suono molto omogeneo finiva talvolta per togliere slancio agli spunti melodici. A tal proposito, pollice in su anche per le aperture melodiche, coerenti col percorso intrapreso e incastrate davvero bene per regalare ampio respiro ai pezzi, spesso alternate a momenti più cadenzati che ben spezzano la cascata di note che piove ad ogni fraseggio di chitarra.
Certo, l’imprevedibilità (che ci aspetta da una band di questo genere), e la varietà di soluzioni ritmiche non sono mai stati gli elementi distintivi dei diavoletti della Tasmania, ma ciò non toglie che questo disco sia particolarmente ispirato e riuscito e possa vantare alcuni tra i brani più interessanti del loro repertorio. Il brano di apertura “We Were The Keepers”, ad esempio, così adrenalinico e catchy, oppure la stessa title track ,con i suoi bei rallentamenti e le sue teatrali aperture melodiche.
Un album che farà la gioia dei fan della band e che, per certi aspetti, pare essere il punto di arrivo sonoro per un gruppo che ha trovato una sua dimensione definitiva.