PSYGNOSIS – Mercury

Pubblicato il 19/09/2023 da
voto
8.5
  • Band: PSYGNOSIS
  • Durata: 00:56:11
  • Disponibile dal: 15/09/2023
  • Etichetta:
  • Season Of Mist

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Spuntano completamente dal nulla, i francesi Psygnosis, ma lo fanno in modo talmente convincente e naturale da farci del tutto trasalire per la sorpresa e spellare le mani dagli applausi. Vagamente atipica è la storia di questa formazione della Borgogna, che debutta sulla prestigiosa Season Of Mist al quinto full-length album della propria carriera e dopo averne pubblicati quattro in modalità do-it-yourself.
Risalgono infatti al 2009 la fondazione della band e la seguente pubblicazione dell’esordio “Phrases”, quando ancora i Psygnosis erano una one-man-band capitanata dal polistrumentista Rémi Vanhove. Da allora, in un crescendo qualitativo costante e a tratti imperioso, l’ensemble transalpino ha mutato pelle diverse volte, diventando un quartetto canonico per il secondo “Anti-Sublime” (2012) ed il terzo “Human Be(ing)” (2014), con tanto di avvincendamento dietro al microfono tra Raphael Lietout e Yohan Oscar. Tenendo come fulcro sonoro un progressive death metal dai tratti elettronici e molto sperimentali, l’aggiunta in formazione del violoncello di Raphael Verguin ha di fatto portato alla scelta radicale di non avvalersi più del cantato, lasciando alla sola, ricca strumentazione il compito di trasmettere il messaggio emotivo e concettuale del combo, prima in “Neptune” (2017) ed ora, con un titolo di nuovo dedicato ad un pianeta del Sistema Solare, in “Mercury”, un lavoro che deflagra tra noi con potenza ed intelligenza disarmanti.
Vanhove oggi si occupa ‘solo’ di chitarra, basso e campionamenti, lasciando a Verguin e al suo violoncello il compito di interagire come solista o come arrangiamento nelle retrovie; di nuovo, e non si tratta certo di un dettaglio da poco, abbiamo il primo vero batterista in carne e ossa nella storia dei Psygnosis, Thomas Crémier, che, assieme alla seconda chitarrista Elise Masliah, ha completato in modo perfetto una line-up che pare quanto mai ideale per veicolare il suono del loro stile, ridondante, epico, carico di pathos e raffinato. Per le tematiche, l’approccio progressivo alla composizione e le lunghe parti strumentali, i Psygnosis ci ricordano i Monolithe più recenti e i Ne Obliviscaris, mentre altri riferimenti che possono essere di certo citati sono gli ultimissimi The Ocean, i Meshuggah, in parte i Gojira. Al contrario, l’influenza di Morbid Angel, Six Feet Under e Fear Factory che traspariva nei primi lavori (quelli ancora con la voce, per intenderci) è andata via via scemando, creando spazio per una modalità compositiva molto più elegante, di classe e con un uso dell’elettronica sempre centrato. Nella più canonica delle soluzioni, l’aggiunta del violoncello e la rimozione delle voci ha permesso l’estremizzazione sia delle parti più violente, sia di quelle più pacate, entrambe in “Mercury” davvero ben curate!
Ovviamente, da prassi del genere, non ci si può aspettare altro che una tracklist dall’alto minutaggio contenuto in poche tracce, solo cinque: ma per farvi un’idea molto chiara di cosa sono capaci di fare i Psygnosis, vi basterà andare qua sotto e visionare tutto il video dell’opener “Öpik-Oort”, un’immensa suite di oltre dodici minuti che vi proietterà direttamente a poche centinaia di chilometri dal nostro Sole, omaggiando proprio i due astronomi citati nel titolo, l’estone Ernst Öpik e l’olandese Jan Oort, a cui si deve la scoperta e la teorizzazione della nube di Oort. Seguono poi due altri brani esemplari, l’altresì lungo “Eclipse”, il cui afflato elettronico è decisamente pronunciato senza assolutamente stonare all’interno della verve metallico-emozionale che questi francesi riescono a riversare sul piatto, e il più contenuto (in lunghezza) e pacato “Sunshine”, quasi un lento dall’incedere triste, arpeggiato, ogni tanto macabro, che sale in tensione per tutto il suo dipanarsi, fino a placarsi di nuovo e concludere la sua corsa in modo altalenante.
Si riparte con vigore assoluto durante il quarto episodio di “Mercury”, “Caloris Basin”, un pezzo devastante per intensità e tecnica strumentale, che benissimo si sposa con l’immagine del bacino Caloris, uno dei più grandi crateri di tutto il Sistema Solare, generato da un mostruoso impatto spaziale avvenuto all’incirca quattro miliardi di anni fa, impatto che ha letteralmente sconvolto Mercurio. Chiude i giochi la seconda suite monumentale, e chiaramente miglior composizione del lavoro, intitolata “Uranometria”, oltre quindici minuti di ragionata follia progressiva, durante i quali si alternano molteplici soluzioni, dal placido violoncello al freddo sintetizzatore, dal groove robotico a quello ondeggiante, dal riff melodico e in tremolo-picking a quello più tecnico e ‘danzante’ à la Tool, dai ‘fischioni’ tipici dei Gojira ai tempi dispari dei Meshuggah, dal blast-beat assassino al tupa-tupa a sorreggere un riff ipertecnico. Insomma, ci si trova di fronte a dei signori musicisti, abilissimi con i loro strumenti, capacissimi di amalgamarli e soprattutto di creare dei quadri sonori visionari e palpabili, giocando su una tavolozza di colori ampissima e ben selezionata.
Mercurio è spesso poco affascinante, abbandonato al suo maledetto roteare ad uno sputo dal Sole, eppure questo disco ne riesce ad estrapolare sia l’essenza drammatica, sia quella più romantica e commovente, in una rappresentazione artistica incredibile e perfetta. Un vero gioiello di luce cosmica.

 

TRACKLIST

  1. Öpik-Oort
  2. Eclipse
  3. Sunshine
  4. Caloris Basin
  5. Uranometria
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