8.5
- Band: PULKAS
- Durata: 00:40:40
- Disponibile dal: 27/04/1998
- Etichetta:
- Earache
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Per questa tornata della rubrica ‘I Bellissimi’ andiamo a scavare nei meandri più reconditi della scena nu metal che fu, riesumando dalla propria anonima tomba un disco letteralmente dimenticato dai più e scomparso in modo inquietante da parecchi dei molteplici radar metallici odierni. Ci riferiamo alla prima e unica pubblicazione dei londinesi Pulkas, il debutto sulla lunga distanza “Greed”.
Il quartetto britannico rappresenta una sorta di unicum della scena, capace di impressionare positivamente in pochissimo tempo, per poi autodistruggersi rovinosamente alla ricerca di un successo che mai poi è stato tale. Per una volta partiamo dalla fine della storia, ovvero cosa successe dopo la messa sul mercato di “Greed” ed il suo ottimo riscontro di pubblico e fra la stampa di settore: Luke Lloyd e soci, terminata la sequela di show promozionali, tra cui la partecipazione incendiaria – chi scrive c’era – all’olandese Dynamo Open Air del 1999, semplicemente vollero fare il passo più lungo dell’allora gamba, cercando di accasarsi presso una casa discografica più grande, una major, entità che all’epoca correvano ad accaparrarsi le più promettenti new sensation dello strabordante movimento nu. Ma c’era un problema che, molto stupidamente, i Pulkas finsero di non vedere, ovvero il contratto che li legava alla Earache Records per almeno altri tre album. Stupidamente, certo, in quanto la Earache non era esattamente l’ultima giovane etichetta piombata sul mercato, essendo già molto nota soprattutto in ambito grindcore, death metal e affini; forse non la casa discografica più adatta per una compagine che puntava a sfondare in settori decisamente più commerciali, ma chiaramente una cassa di risonanza che avrebbe consentito al gruppo una prima parte di carriera solida e ben definita. Ebbene, la questione non finì a tarallucci e vino, la Earache si impuntò e i Pulkas sciolsero unilateralmente il contratto, mossa che portò a problemi legali in primis e allo sfaldamento del gruppo da lì a qualche anno, dato per morto nel 2002. La riapparizione sulla scena, qualche tempo dopo, di tre Pulkas su quattro con il nome I:Am:I non portò a risultati degni di nota, disperdendo nel vento del tempo i frammenti inceneriti di questa meteora musicale disintegratasi troppo presto e con rancore.
Facciamo ora un salto indietro fino al 1995, quando, in una Londra già completamente conquistata dall’avvento di Korn, Deftones e prima ventata di band vestenti tute Adidas, il cantante Luke Lloyd, il chitarrista Martin Bourne, il bassista Jules McBride ed il batterista Rob Lewis decidono di unire le forze e formare un gruppo che, pur associabile in pieno al fenomeno nu metal, in realtà ne altera le caratteristiche originali isolandone le sensazioni più depresse e negative e lasciandole fuori dalla propria ispirazione, per ibridare il groove possente dei riff ribassati con un’attitudine tra il metal (thrash in particolare) e l’hardcore. Se dovessimo darvi un solo e unico riferimento per farvi capire come suona “Greed” dei Pulkas, diremmo di andare ad ascoltarvi il primo dei Disturbed, “The Sickness”: ecco, tolta la voce superiore di David Draiman, la tipologia di riff, serratissimi, usati, le esplosioni e le attese, le linee vocali, la fluidità del groove, la potenza della sezione ritmica, dove un basso imperioso è in grado di farvi rimbalzare letteralmente sulla sedia… per tutte queste cose, i Pulkas sono vicinissimi, ma antecedenti, ai primi Disturbed.
D’altronde, oltre ad aver ottenuto il prestigioso contratto con la Earache, avendone attirato l’attenzione con un demo di due pezzi contenente “Control” e “This Is It”, la band inglese potè contare su altri due aspetti molto favorevoli ad un gruppo esordiente: la produzione mostruosa del guru Colin Richardson – ancora oggi “Greed” suona potentissimo e al passo coi tempi – e una buonissima esposizione televisiva con la rotazione su Headbangers’ Ball del video dell’opener “Loaded”, tra le altre cose filmato pregno di inquietudine e disturbo.
“Greed” è un lavoro che, a distanza di ventisei anni dalla pubblicazione, suona allo stesso modo retrò e moderno, ciò grazie sì alla succitata ottima resa sonora, ma anche per merito di uno stile che affonda nel nu senza mai rappresentarlo a pieno, in quanto i Pulkas erano un gruppo prevalentemente metal solo affascinato da tali sonorità e non quattro rapper saltati sul carrozzone del finto metal per eccellenza. Le canzoni dei Nostri paiono quasi tutte concepite partendo da dei grassissimi ed ondeggianti giri di basso, ipnotici e avvolgenti, su cui, di volta in volta, le chitarre si operano in arpeggi pizzicati, slabbrate di costruttiva attesa ed infine groove monolitici su cui saltare e pogare senza ritegno. Su tali coordinate sono costruite le varie “Betrayal”, “Control”, “Close To The Enemy”, “Rebirth”, “Loaded”, “Rubber Room” e l’iconica “Hippy Fascist”, ovvero il fulcro di “Greed”, che viene completato poi dai brevi intermezzi rumoristici “Eh?” e “Drown” e dalle più punk/thrash/hardcore “Flesh” e “This Is It”. A fare da collante su tutto, la voce arrabbiata, i timbri sinistri e le grida belluine – mai comunque troppo ‘nu’ – di Lloyd ad incendiare i brani o a renderli emozionali quanto basta.
Insomma, un grande rimpianto di band, i Pulkas, che hanno lasciato una sola testimonianza a noi posteri del loro valore assoluto, valore che ci sembrava giusto rispolverare e, perchè no?, lasciarvi riscoprire.