6.5
- Band: PYRA
- Durata: 00:43:50
- Disponibile dal: 23/02/2024
- Etichetta:
- Immortal Frost Productions
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Autori di un sound claustrofobico che getta le proprie basi in un death metal fortemente influenzato da una demarcazione black (specialmente per quanto riguarda le chitarre), i Pyra giungono al loro debut album dopo un interessante EP e una buona manciata di date.
Sebbene nascosti dietro le iniziali del proprio nome, i tre componenti della band fanno riferimento al circuito dell’underground tricolore, con membri di Dead Chasm, Darvaza, Progenie Terrestre Pura e Psychotomy, di conseguenza una certa esperienza sul campo si denota tanto dalla presentazione del progetto quanto dalle composizioni. Sebbene non esenti da qualche difetto, infatti, i brani sono evidentemente scritti da gente che mastica la materia con una certa capacità, e il suono oscuro e morboso vomitato fuori dai sei brani di “Those Who Dwell In The Fire” è decisamente al passo coi tempi, ascrivibile com’è a un death-black cavernoso molto in voga ultimamente, non senza una dose pulsante di doom.
Nomi che ci balzano alla mente sono quelli di Krypts, Chthe’ilist, Spectral Voice, ad ogni modo il genere affonda le radici nella new school di death metal old school, anche se forse spinge a livello attitudinale più sul black metal rispetto ad altri (nella ripetizione ossessiva ed ipnotica di certi passaggi, ad esempio).
La propensione delle canzoni in “Those Who Dwell In The Fire” è nella formazione di un tappeto sonoro profondo e magmatico, paludoso, asfissiante, ma anche veloce e imbizzarrito, che avvolge completamente l’ascoltatore in una coltre di nebbia oscura, lasciando ben poco spazio per tirar fuori la testa e respirare un po’ d’aria. Purtroppo così facendo si rischia anche di creare una sorta di standard, seppur ben composto, che viaggia su una via mediana senza balzelli o picchi, e che finisce per assomigliare un po’ troppo a sé stesso, soprattutto proseguendo con ripetuti ascolti; ciò potrebbe anche suonare come un successo, nel momento in cui si scrive musica opprimente e volutamente annichilente, ma che non ci fa godere appieno, presi come siamo ad aspettare un riff ‘spazzatutto’, qualcosa che dia una dinamica o una forma al caos proposto, un’eccezione a questo sanguinolento grumo di morte che viaggia imperterrito alla ricerca di forme di vita da abbattere. O che renda, banalmente, effettivamente memorabili le composizioni sulla lunga distanza.
Ad ogni modo, la prova tecnica è martellante e indiscutibile, con menzioni particolari all’egregio lavoro di batteria e alla voce orchesca di L. (Lorenza De Rossi, già nei menzionati Dead Chasm e Psychotomy), che però non fanno decollare del tutto questa pur dignitosissima prima uscita di lungo minutaggio. Da tenere sott’occhio, comunque.