7.5
- Band: PYRAMAZE
- Durata: 00:52:25
- Disponibile dal: 22/05/2015
- Etichetta:
- Inner Wound
- Distributore: Audioglobe
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La presenza dei Pyramaze non è mai stata molto assidua nella scena metal… combo heavy/power danese attivo agli inizi del decennio scorso grazie a un paio di album di valore cantati dal sempre bravo Lance King, nel 2008 incisero un unico album, dal titolo “Immortal”, con il due volte ex Iced Earth Matt Barlow al microfono, prima di sparire poi però nel nulla. E’ quindi così che a distanza di sette anni ci troviamo fra le mani questo “Disciples Of The Sun”, un disco che, sebbene riporti lo stesso monicker di “Immortal”, sembra proprio fatto da un’altra band! Complice infatti l’inserimento in formazione di un nuovo frontman e di un nuovo songwriter, rispettivamente trovati nelle persone di Terje Haroy dei Theodor Tuff e del più famoso Jacob Hansen (Anubis Gate), molte caratteristiche dei Nostri sono cambiate da allora, a partire dal sound, ora decisamente più elegante e oscuro, per arrivare fino ad un completamente diverso uso di tastiere e orchestrazioni. Anche se di primo acchito si potrebbe pensare che un cambiamento così netto rispetto al passato possa rivelarsi una mossa negativa più che altro, come testimoniato invece dal voto in calce questi stravolgimenti sono stati effettuati solo verso il meglio, col risultato che “Disciples Of The Sun” è un disco ottimo, che non temiamo di definire come il più solido, coinvolgente e meglio realizzato della (corta) discografia della band. L’album in questione abbandona infatti le tentazioni più ‘happy’ del power degli esordi, sbarazzandosi al contempo anche di quell’ingombrante ombra heavy che ammantava il ruvido “Immortal”; al loro posto troviamo un più studiato progressive metal dalle forti tinte power, robusto ma di gran classe, caratterizzato però anche da un piglio più moderno e attuale. Ci troviamo di fatto in pieno territorio Evergrey/Kamelot, con la concretezza dei primi ben rappresentata da brani diretti come “The Battle Of Paridas” e “Fearless”, e l’eleganza e le melodie dei secondi marchiate a fuoco sui passaggi più aperti ed emozionali, come nella bellissima “Back For More” o la interessante “Perfectly Imperfect”, entrambe tra le tracce che abbiamo preferito dell’album. Su ogni brano troviamo lodevole l’uso della tastiera, che si rivela sempre indispensabile all’economia della canzone in sé ma mai va a discapito delle chitarre, le quali risultano sempre in primo piano. L’aspetto più progressivo, quello rappresentato da brani come l’oscura “Unveil” o la più aggressiva “Hope Spring Eternal” (qualcosina degli Scar Symmetry si cela dietro questo brano), è invece l’elemento che troviamo di maggiore novità nel sound dei Nostri, un elemento che aggiunge al sound globale una dimensione che finora da loro è rimasta piuttosto inesplorata. La voce del nuovo arrivato Haroy si rivela fin da subito come veramente bella, caratterizzata da un timbro caldo e avvolgente che è perfetto punto di incontro tra la vocalità acuta e tecnica di Lance King e la timbrica più emozionale di Tom Englund degli Evergrey, mentre la produzione squillante operata da Jacob Hansen (già dietro la consolle in tempi recenti con Epica, Kamelot e Delain) chiude il cerchio su tutto il discorso, rappresentando la classica ciliegina sulla torta su di un album che, in effetti, di difetti ne mostra proprio pochi. I fan delle sonorità più eleganti, a cavallo tra metal sinfonico, progressive metal e power europeo per intenderci, una chance dovrebbero senza dubbio dargliela… potrebbero rimanere infatti assai sorpresi!