6.5
- Band: QUARTZ
- Durata: 00:48:51
- Disponibile dal: 28/10/2016
- Etichetta:
- High Roller Records
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Dopo oltre trent’anni di assenza dal mondo discografico, ritornano alla luce i Quartz, storico collettivo originario di Birmingham, meritevole di aver forgiato all’alba degli anni Ottanta “Stand Up And Fight”, opera avvincente nonché imprescindibile per tutti gli appassionati della NWOBHM. Il successivo e gradevole “Against All Odds”, vinile orientato verso lidi decisamente più melodici, ai confini dell’AOR, ha assunto la mesta fisionomia di un prematuro epitaffio, per un gruppo che nella sua breve carriera ha ottenuto riscontri commerciali tutt’altro che lusinghieri. Risorti improvvisamente nel 2011, i leoni britannici si sono presi tutto il tempo necessario per dare vita ad un lavoro orgogliosamente legato ai dettami coniati lustri fa dai nuovi eroi del metallo inglese. Costituiti per ben quattro quinti della formazione originale, dalla quale spicca la presenza del polistrumentista Geoff Nicholls, nonché ex uomo ombra dei Black Sabbath, i redivivi Quartz si avvalgono dei servigi del nuovo frontman David Garner, al quale spetta l’onere di sostituire la storica voce di Mike Taylor, di recente passato a miglior vita. A conti fatti, però, “Fear No Evil” risente in qualche modo della lunga inattività dei protagonisti, palesando sin dai primi istanti una scaletta qualitativamente discontinua e, a tratti, eccessivamente debitrice del verbo profuso dal ‘sabba nero’. Non mancano comunque alcuni episodi avvincenti, rappresentati dalla velenosa title track e dalla sincopata “Rock Bottom”, la quale eredita un marcato gusto per il groove, tipico dei primissimi Motörhead. “Scream At The Devil” è un pulsante midtempo, che spicca il volo all’altezza dell’accattivante ritornello, mentre l’irruenta “Born To Rock The Nation” si palesa come un ipotetico outtake di “Heaven And Hell”, interpretato dalle arcigne corde vocali di Ozzy Osbourne. Quando i Quartz si ingegnano nel delineare sinergie sonore sature di atmosfere sulfuree, come nel caso dell’inquietante “The Stalker” e dell’umbratile “Walking On Holy Water”, emerge una marcata ridondanza compositiva, che ridimensiona il risultato finale di un’opera inevitabilmente destinata ai nostalgici del genere.