7.5
- Band: QUEENS OF THE STONE AGE
- Durata: 00:47:37
- Disponibile dal: 16/06/2023
- Etichetta:
- Matador
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Detto che l’attitudine insolente e il posto consolidato nel mondo del rock non pongono i Queens Of The Stone Age nella posizione di dover dimostrare qualcosa, sicuramente il precedente “Villains” aveva fatto storcere il naso a diversi ascoltatori. Sarà difficile invece, a nostro parere, non apprezzare i brani e l’attitudine del nuovo “In Times New Roman…”, fosse anche solo il titolo geniale a riavvicinare i delusi a questo disco.
Spogliati da qualsiasi ansia, necessità di scrivere una nuova hit o dal piglio di stupire – magari a colpi di ospitate d’eccezione – i QOTSA si mostrano qui nella loro complessa semplicità: Josh Homme, Troy Van Leeuwen, Dean Fertita, Michael Shuman e Jon Theodore, una formazione che, escluso il batterista, ha ormai nel carniere metà dell’intera discografia della band, con Van Leeuwen a fare da eterno contraltare di Homme su qualsiasi strumento, e non a caso il risultato è un disco solido, che ripercorre praticamente l’intero spettro delle loro sonorità; ma che suona al tempo stesso fresco, con suoni spesso garage, ma impreziosito da una produzione ricca e attenta, che ricorda a tratti la minuziosità di “…Like Clockwork” (e non a caso, oltre allo stesso Homme, rileviamo nei crediti in consolle Mark Rankin e Rick Rubin). Ecco che trovano quindi spazio riff sporchi che rimandano ai loro esordi, ma conditi da linee vocali spaccone e scanzonate (“Obscenery”), pezzi apparentemente immediati eppure densi – “Paper Machete”, il bel mix surf/space di “Time And Space” o il primo singolo “Emotion Sickness”, con i suoi strappi di chitarra à la Jack White – e ovviamente quei momenti più intimisti che fanno parte del loro trademark (“Negative Space”). Sul fronte dei pezzi più ricercati, il secondo singolo “Carnavoyeur” non convinceva forse al primo ascolto, ma ha un fascino fumoso e sixties molto particolare; “Sicily” presenta suoni curiosi, quasi mediterranei (scacciapensieri simulato incluso), in coerenza con il titolo. E ovviamente come non citate la lunga suite finale: “Straight Jacket Fitting” prende i loro lati più sperimentali, più fumosi e più noise accompagnandoci in un lungo arrivederci di quasi dieci minuti.
Menzione speciale per il brano più divertente, anche quanto a titolo, del lotto: “What The Peephole Say” è il classico pezzo per cui un disco dei Queens Of The Stone Age vale già quasi l’acquisto, con il suo bel crescendo, l’esaltante ritornello con le doppie voci suadenti, l’organetto e insomma quella ricercatezza sfrontata e indifferente che saranno sempre i punti di forza di questa band; che, quando vuole, è ancora ineccepibile.