voto
9.0
9.0
- Band: QUEENSRYCHE
- Durata: 01:03:20
- Disponibile dal: 20/08/1990
- Etichetta:
- EMI
- Distributore: EMI
Spotify:
Apple Music:
Seattle è nota ai più come la patria del grunge, luogo natio di band come i Pearl Jam che nei primi anni ‘90 hanno segnato un radicale cambiamento nella musica rock. Questa città americana ha dato i natali anche ai Queensryche, gruppo che dopo gli esordi di matrice puramente heavy, già dal secondo full length – il cromatissimo “Rage For Order” – ha dimostrato di voler essere molto di più che una ordinaria metal band. Se il suddetto “Rage For Order” era una coraggiosa dichiarazione di intenti, il successivo “Operation Mindcrime”, sebbene in parte viziato da una complicata e fumosissima trama concept, ha sigillato gli anni ‘80 facendo presagire un futuro roseo per i Nostri. Detto, fatto: “Empire” prosegue sulla strada intrapresa dal predecessore con maggiore agilità, anche grazie alla mancanza di qualsivoglia storyboard a impegnare l’ascolto, e si rivela non solo il maggior successo commerciale per il gruppo (n° 7 negli U.S.A. e tre milioni di copie vendute) ma anche, con molta probabilità, il suo capolavoro.
Alziamo il sipario con “Best I Can”, un brano dalla struttura progressiva nel quale spadroneggiano le cromature tastieristiche che gli conferiscono un’atmosfera più adult-oriented, ma non per questo smaccatamente commerciale. La successiva “The Thin Line” è impostata su tempi dispari e ritmiche stoppate che la rendono meno immediata e più riflessiva. Il groove del basso domina l’intero pezzo che curiosamente è privo di un vero e proprio “chorus”, sostituito da un lungo bridge. Da rimarcare la notevole interpretazione di Geoff Tate, abile nel modulare la sua voce squillante verso tonalità baritonali. “Jet City Woman” – uno dei brani simbolo dell’album – vira palesemente su coordinate più immediate, ma dimostra la capacità dei Nostri di riuscire a scolpire una hit single senza scadere nella banalità. Un grande giro di basso apre “Della Brown”, canzone giocata su tinte lievemente psichedeliche immerse in un’atmosfera notturna che le donano un mood emozionale. Da apprezzare la cura dei dettagli strumentali, in particolare gli splendidi arabeschi chitarristici di Chris De Garmo che la rendono probabilmente non solo il misconosciuto capolavoro dell’album, ma anche uno dei punti più alti mai raggiunti dal gruppo. “Another Rainy Night” è l’unica vera e propria concessione alle chart americane nella quale il five piece forza un po’ troppo la mano verso melodie di facile presa, ma è innegabile che si stampi in testa sin dal primo ascolto. Discorso inverso va fatto per la title track, che rievoca atmosfere oscure e pessimistiche (il cupo video clip enfatizza il concetto trasmesso dal brano) quasi a voler presagire le atmosfere che troveremo nel successivo album “Promised Land”. I due brani seguenti sono l’uno l’antitesi dell’altro: “Resistance” è l’unico pezzo veramente heavy del disco, ancora basato su tempi dispari, dove Mr. Tate rispolvera le tonalità più alte e aggressive del suo repertorio; “Silent Lucidity” è invece una ballata introspettiva e dall’architettura scarna, impreziosita dalle orchestrazioni di Michael Kamen e da un tanto semplice quanto bello guitar solo di DeGarmo, ennesima dimostrazione che la quantità di note suonate non è sempre proporzionale alla qualità del risultato. Le melodie accessibili di “Hand On Heart” sono forse quanto più di class metal realizzato dai ‘Ryche, mentre il riff iniziale della successiva “One And Only” riesce addirittura nell’impresa di ricordare i Poison (!) per poi evolversi in un brano dal groove rock’n’roll riletto nell’ottica personale della band. La semi ballad “Anybody Listening” ci conduce alla fine del viaggio, tra sognanti melodie chitarristiche intrecciate ad un’ispirata interpretazione di Tate, donandole un enfasi quasi epica e regale che scivola in una straniante conclusione fatta di rumori e voci di sottofondo interrotte dallo sbattere violento di una porta. La fine di un Impero e l’inizio di un lungo viaggio alla ricerca della Terra Promessa?
Alziamo il sipario con “Best I Can”, un brano dalla struttura progressiva nel quale spadroneggiano le cromature tastieristiche che gli conferiscono un’atmosfera più adult-oriented, ma non per questo smaccatamente commerciale. La successiva “The Thin Line” è impostata su tempi dispari e ritmiche stoppate che la rendono meno immediata e più riflessiva. Il groove del basso domina l’intero pezzo che curiosamente è privo di un vero e proprio “chorus”, sostituito da un lungo bridge. Da rimarcare la notevole interpretazione di Geoff Tate, abile nel modulare la sua voce squillante verso tonalità baritonali. “Jet City Woman” – uno dei brani simbolo dell’album – vira palesemente su coordinate più immediate, ma dimostra la capacità dei Nostri di riuscire a scolpire una hit single senza scadere nella banalità. Un grande giro di basso apre “Della Brown”, canzone giocata su tinte lievemente psichedeliche immerse in un’atmosfera notturna che le donano un mood emozionale. Da apprezzare la cura dei dettagli strumentali, in particolare gli splendidi arabeschi chitarristici di Chris De Garmo che la rendono probabilmente non solo il misconosciuto capolavoro dell’album, ma anche uno dei punti più alti mai raggiunti dal gruppo. “Another Rainy Night” è l’unica vera e propria concessione alle chart americane nella quale il five piece forza un po’ troppo la mano verso melodie di facile presa, ma è innegabile che si stampi in testa sin dal primo ascolto. Discorso inverso va fatto per la title track, che rievoca atmosfere oscure e pessimistiche (il cupo video clip enfatizza il concetto trasmesso dal brano) quasi a voler presagire le atmosfere che troveremo nel successivo album “Promised Land”. I due brani seguenti sono l’uno l’antitesi dell’altro: “Resistance” è l’unico pezzo veramente heavy del disco, ancora basato su tempi dispari, dove Mr. Tate rispolvera le tonalità più alte e aggressive del suo repertorio; “Silent Lucidity” è invece una ballata introspettiva e dall’architettura scarna, impreziosita dalle orchestrazioni di Michael Kamen e da un tanto semplice quanto bello guitar solo di DeGarmo, ennesima dimostrazione che la quantità di note suonate non è sempre proporzionale alla qualità del risultato. Le melodie accessibili di “Hand On Heart” sono forse quanto più di class metal realizzato dai ‘Ryche, mentre il riff iniziale della successiva “One And Only” riesce addirittura nell’impresa di ricordare i Poison (!) per poi evolversi in un brano dal groove rock’n’roll riletto nell’ottica personale della band. La semi ballad “Anybody Listening” ci conduce alla fine del viaggio, tra sognanti melodie chitarristiche intrecciate ad un’ispirata interpretazione di Tate, donandole un enfasi quasi epica e regale che scivola in una straniante conclusione fatta di rumori e voci di sottofondo interrotte dallo sbattere violento di una porta. La fine di un Impero e l’inizio di un lungo viaggio alla ricerca della Terra Promessa?
Si ringrazia Diego “Dr.Zed” Zorloni per la fattiva collaborazione.