9.5
- Band: QUEENSRYCHE
- Durata: 00:48:03
- Disponibile dal: 18/10/1994
- Etichetta:
- EMI
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Cominciamo premettendo che è difficile parlare di “Promised Land” dei Queensryche. Per chi conosce bene la band originale, quella un tempo capitanata da Geoff Tate e Chris DeGarmo, sa già che questo album è effettivamente atipico, anche per gli standard già mutevoli e ben poco definiti della band di Seattle. E’ un disco a sé stante, un po’ speciale, a volte anche non compreso. Ma è un disco sicuramente unico. E qui non esageriamo, sfidiamo chiunque a trovare nella discografia dei Queensryche un album simile a questo. Non diciamo ‘più bello’, perchè le opinioni soggettive non ci piacciono e perché in molti rispondereste a diritto “‘Operation Mindcrime’ é più bello”; e non vi diciamo nemmeno ‘più popolare’, perché “Empire” staccherebbe a ragione più consensi. Vi diciamo ‘simile’ proprio perché, a nostro modo di vedere, “Promised Land” rimane (e rimarrà) un vero e proprio capitolo a sé nella discografia dei Nostri. E’ cupo, ossessivo, triste. Ma è anche capace di donarci incredibili e inaspettati sprazzi di sole, su passaggi musicali di infinita dolcezza e melodia. E’ folle, imprevedibile e in alcuni momenti forse anche un po’ malato. Ma è anche un disco ragionato, emozionale e soprattutto fortemente personale. Ve lo ripetiamo, è difficile descriverlo. Ma questo perché nemmeno l’album riesce bene a descrivere se stesso, usando l’unico elemento a propria disposizione, cioè le sue canzoni, ciascuna così diversa, ciascuna dotata di una personalità così forte da renderla avulsa dal contesto di ogni altro album composto prima (e dopo). Voi ce la vedreste “I Am I” su “Empire”? Manco a parlarne. “Damaged”, chè è dura e ossessiva, su un album metal come “Rage For Order”? No, è indiscutibilmente un tipo diverso di pesantezza e durezza. Pensando alla personalità così definita di ciascuno di questi brani, ci rendiamo infine conto di come, una volta raccolti insieme in questo ordine, essi formino un quadro definito, a colori accesi, violenti, a volte discordanti fra loro. Un’immagine dotata di una personalità costruita e chiassosa, ma che alla fine è proprio il vero aspetto di “Promised Land”. Ascoltarlo nella sua interezza è un viaggio sulle montagne russe, un’esperienza che, effettuata per la prima volta, non si può prevedere. Perché si parte magari schiacciati dalla già citata ossessività del martellante riff di “Damaged”, oppure perché si é confusi dalle atmosfere oppressive di “I Am I”, ma subito dopo si trovano incredibili momenti di pace nelle melodie di “Bridge” o nei fini e meditativi colpi di pennello che la chitarra acustica dà sulla splendida “Out Of Mind”. C’è un equilibrio tra elettrico e acustico, tra chitarra e voci, tra tastiere e arrangiamenti su queste canzoni: un equilibrio che viene rotto subito dopo dalla schizofrenica e contorta title-track, con le sue atmosfere tanto claustrofobiche quanto vaste come un intero universo. Una canzone totalmente opposta alle precedenti, un brano che ti strappa dalle rassicuranti zone della mente dove ti eri rifugiato e ti lascia nudo e solo in un’umida oscurità. Che dire poi della folle “Disconnected”, l’evento psicotico posto subito prima però del passaggio più melodico e a modo suo ‘commerciale’ dell’intero disco, ovvero la radiofonica “Lady Jane”? Nulla in “Promised Land” è punto di riferimento, nulla qui è stabilitò, bensì tutto muta. Mutano le atmosfere, mutano gli umori e muta anche ciò che l’ascoltatore prova durante l’ascolto. E tutto questo dura fino alla fine quando, stremati dalla conclusiva “One More Time”, rimaniamo ancora a bocca aperta per il momento più toccante dell’album, quella bellissima “Someone Else?”, che con pianoforte e la sola voce di Tate fa correre infiniti brividi dietro la schiena. Il concetto dovrebbe essere chiaro e questa recensione, forse meno focalizzata del solito, lo sottolinea: descrivere “Promised Land” è difficile. Ma, dopotutto, è anche difficile (forse impossibile) dare una descrizione di un concetto quale la genialità. E dobbiamo ammettere che, a modo suo, quest’album è forse un ottimo modo di descrivere concetti quali appunto ‘genialità’ o ‘creatività’. Certo, non avrà mai l’importanza o la forza di “Operation: Mindcrime” e nemmeno il potenziale commerciale di “Empire”, ma secondo noi, a livello di personalità, “Promised Land” non lo batte nessuno. Un album unico, lo ripetiamo.