
6.0
- Band: QUIET RIOT
- Durata: 00:51:44
- Disponibile dal: 04/08/2017
- Etichetta:
- Frontiers
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Sin dagli albori remoti, i Quiet Riot sono stati colpiti da una serie di innumerevoli circostanze sfavorevoli che, in più di un’occasione, hanno bruscamente ridimensionato le ambizioni di uno dei gruppi più importanti del cosiddetto movimento ‘hair metal’. Dai primi passi con Randy Rhoads alle sei corde, il collettivo statunitense è stato travolto improvvisamente dal monumentale successo ottenuto da “Metal Health”, per poi precipitare in modo ancora più violento in un baratro senza fondo a seguito dei (relativi) insuccessi commerciali di “Condition Critical” e “QR III”. Le tensioni interne, associate all’abuso di sostanze stupefacenti ed all’oggettiva incapacità di gestire in maniera adeguata i propri affari, sono state le cause principali che hanno allontanato i protagonisti dalle luci della ribalta. La prematura scomparsa dell’istrionico frontman Kevin DuBrow avvenuta nel 2007, a seguito di un’overdose di cocaina, ha assunto i connotati di un ultimo e doloroso atto nei confronti di una brillante meteora oramai spenta da tempo. Contro ogni pronostico il batterista Frankie Banali, in collaborazione con il chitarrista Alex Grossi ed il bassista Chuck Wright, ha riesumato la suddetta denominazione sociale ingaggiando nel corso del tempo una serie di cantanti (Mark Huff, Keith St. John, Scott Vokoun e Jizzy Pearl), purtroppo incapaci di conferire una relativa stabilità al progetto. Con il recente ingresso di Seann Nicols, i Nostri sembravano aver trovato la definitiva quadratura del cerchio, virtù che ha permesso loro di incidere il qui presente “Road Rage”, salvo poi separarsi senza un apparente perché dal nuovo arrivato. L’ingaggio dell’ex concorrente di “American Idol”, James Durbin, ha determinato la ri-registrazione di tutte le parti vocali incise in precedenza dal buon Nicols, mossa inaspettata che però finalmente ci consegna il prodotto definitivo. In estrema sintesi, “Road Rage” riprende il discorso interrotto più di trent’anni fa dal festaiolo “Condition Critical”, senza però possederne il medesimo fascino. Dal canto suo Durbin dimostra di essere un cantante tecnicamente eccelso, ma al contempo non possiede un briciolo dell’istrionismo vocale che ha reso leggendario Kevin DuBrow. Le sue corde vocali toccano costantemente registri vocali alti e squillanti, radendo al suolo la benché minima varietà espressiva reclamata dalle composizioni contenute nell’album. Il banale scoppiettio di “Can’t Get Enough” viene salvato in calcio d’angolo da un ritornello memorabile, mentre l’audace “Freak Flag” vanta una linea melodica sorprendentemente accattivante, suo malgrado demolita da un chorus da codice penale. Va decisamente peggio con la sensualità da balera palesata da “Roll This Joint”, la quale sembra interpretata da Britney Spears reduce dopo una lunghissima notte di eccessi in un club a luci rosse. Il ‘party metal’ avviato con il pilota automatico di “Make A Way” viene funestato da un assolo di armonica alquanto discutibile ma, quando tutto sembra perduto, i Quiet Riot risorgono dalle proprie ceneri regalandoci qualche gradita gemma. L’impareggiabile classe di un tempo emerge in tutto il suo splendore nell’appassionante malinconia narrata da “Still Wild”, la ‘pop oriented’ “The Road” invece ci trascina in un cangiante immaginario plasmato dai Def Leppard nel vendutissimo “Hysteria”. L’introduzione esotica di “Getaway” rievoca i The Beatles di “Revolver”, evolvendosi in un roccioso mid tempo, peraltro amplificato da un’esplosiva melodia vocale. “Knock Em Down” è un nervoso e vincente hard rock venato di funk, al quale spetta chiudere i giochi nei confronti di un lavoro controverso, caratterizzato da una lunga e travagliata gestazione. Come nella migliore tradizione dei Quiet Riot.