9.0
- Band: RAGE
- Durata: 00:46:30
- Disponibile dal: 25/08/1989
- Etichetta:
- Noise Records
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I Rage sono una band fondamentale del panorama heavy metal. Una di quelle che, nonostante un buon successo ottenuto negli anni, una rinomanza indiscussa, la continuità nella pubblicazione di nuova musica – difficile trovare in circolazione qualcuno più costante in questo senso di Peavy Wagner e compagni – ha forse ottenuto meno di quello che avrebbe meritato. All’interno degli appassionati di metal classico il loro ruolo e la loro importanza non gliela tocca nessuno, sia chiaro, eppure se guardiamo alla quantità di album di valore sfornati nell’arco di quasi quarant’anni, l’impressione è che manchi qualcosa, che non tutto quanto gli fosse dovuto sia stato effettivamente riconosciuto alla compagine tedesca. Per chi scrive – ed è sicuro di essere in ampia compagnia – pur ammirando la capacità di reinventarsi, osare, ripartire avuta dal sommo leader Peavy nel corso della carriera, il miglior periodo della band, coinciso con una specifica line-up a tre punte, è quello intercorrente tra il terzo disco “Perfect Man” e “The Missing Link”. Un periodo relativamente breve (circa un quinquennio), prolifico ed intenso, dove all’estro del cantante/bassista si affiancava una delle migliori macchine da riff che il metal teutonico abbia mai partorito – Manni Schmidt, noto anche per l’operato nei Grave Digger – e il batterista Chris Efthimiadis, che al contrario di Schmidt rimarrà in formazione fino al 1999 e al discusso “Ghosts”. Un trio che in tempi recenti è tornato per andare a solleticare la nostalgia con nuova musica, non sotto il moniker Rage ma quello di Refuge, rifacendosi pienamente ai canoni concettuali del periodo prima menzionato con “Solitary Men”, unico full-length di questa creatura.
Del fecondo, magico, periodo a cavallo tra fine anni ’80 e primi ’90 il lascito più noto è sicuramente “The Missing Link”, il frutto più maturo, composito e dettagliato di quella collaborazione di talenti. Un capolavoro indiscusso del metal tutto, probabilmente IL disco dei Rage. Ma andando di poco indietro, collocandosi in quella amabile, coriacea, immortale zona di comfort di puro, rombante, sferragliante e melodico metallo che era l’heavy/speed/thrash tedesco ottantiano abbiamo “Secrets In A Weird World”. Quarto album dei Rage, in scia all’altrettanto spettacolare “Perfect Man”, rappresenta un punto d’equilibrio perfetto tra le voglie speed metal dei primi e più rustici “Reign Of Fear” e “Execution Guaranteed” – veloci, taglienti, sfrontati, a loro volta da riscoprire – e un processo di raffinazione melodica che porterà, qui e più avanti, a una serie di splendide hit. E visto che parliamo di hit, partiamo da quella che ben esemplifica la capacità di quei Rage di miscelare melodie cantabili e subito memorizzabili a un riffing intransigente, chorus martellanti e una solidità ritmica eccezionale. “Light Into The Darkness” esprime appieno la magia di quegli anni irripetibili del metal tedesco: il gusto per la melodia struggente e leggera, l’incastonarla saldamente in un retaggio orgogliosamente metal, la spinta facinorosa delle ritmiche, il bilanciamento tra voglie d’assalto e il voler circuire e blandire l’ascoltatore. “Light Into The Darkness” che fa il paio con la più violenta “She”, in tracklist appena prima; intro lugubre e minacciosa, riffing a metà strada tra l’hard rock e il classic metal, ritornello tagliente e mortifero, accelerazioni sparse che rimettono in pista la mai sopita anima speed metal della band. La tracklist, al di là dei nostri due personali highlight, rimane compattissima, frutto di una line-up facinorosa e al suo apice per ispirazione e pesantezza. Efthimiadis è un motore ritmico devastante in ogni circostanza, dal tocco netto e senza appello; la doppietta iniziale – dopo l’intro omaggiante il compositore Sergei Sergeyevich Prokofiev – costituita da “Time Waits For Noone” e “Make My Day” è una delizia di riff al limite del thrash, vocalizzi squillanti e a volte fuori controllo, solismi grondanti metallo fuso. Forse siamo retorici in questa definizione dei Rage, ma “Secrets In A Weird World” è null’altro che gigantesco, roboante metal di sfavillante purezza. “The Inner Search” presenta ritmi più lavorati, rallentamenti, midtempo più complessi, iniziando quel percorso di esplorazione che andrà a svilupparsi ulteriormente in fasi di carriera successive. “Invisble Horizons” è un’altra canzone rapida e contundente, vibrante di foga e assordante per l’interpretazione sopra le righe del frontman. Ecco, Peavy non è mai stato un cantante dalle doti vocali eccelse, cristallino, tuttavia è stato (ed è ancora oggi) un elemento distintivo, e in “Secrets In A Weird World” traspare tutta la sua voglia di andare oltre le sembianze del ‘semplice’ urlatore per esplorare tonalità maggiormente emotive. Ne esce una prestazione che, proprio per la sua spontaneità e mancanza di perfezione, fa dannatamente heavy metal e dà una formidabile spinta alle già ottime qualità strumentali dei brani.
Una colata d’acciaio made in Germany aveva spesso, in quegli anni, una qualche inflessione festaiola qua e là, perché non ci si prendesse troppo sul serio: è il caso della durissima ma nient’affatto seriosa “Talk To Grandpa”, una delle tante facciate dell’identità-Rage. Non la più importante, a dire il vero, perché quando gli schemi diventavano meno fitti, urgenti, e ci si faceva prendere la mano con la musicalità e l’atmosfera, potevano accadere cose meravigliose: “Without A Trace” è già avanti di qualche anno, anticipando le colte evoluzioni future, galoppando felice tra melodie cantabili e drammaticità, ridisegnando il power metal a venire. Mentre la precedente “Distant Voices” mette in circolo una specie di vaga nostalgia, indorando di melodia avvolgente e un tocco di delicatezza un altro pezzo trascinante e coinvolgente dalla prima all’ultima nota. “Secrets In A Weird World” è album con ben pochi difetti, testimonianza di un’epoca d’oro per un certo tipo di metal e nei piani alti della discografia dei Rage. Tassativamente da riscoprire.