7.5
- Band: RAGE
- Durata: 00:46:19
- Disponibile dal: 06/10/2016
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Gli ultimi non sono stati certo anni tranquilli in casa Rage. Prima l’evoluzione del progetto parallelo LMO (Lingua Mortis Orchestra), che era subito parso una sorta di valvola di sfogo per la creatività in campo sinfonico/classico del chitarrista Victor Smolski; poi la reunion della vecchia formazione dei Rage con il leader, bassista e cantante Peter “Peavy” Wagner, il chitarrista Manni Schmidt e il batterista Chris Efthimiadis sotto il nome di Refuge. Tutto lasciava presagire quello che in effetti stava per accadere, ossia la rottura interna al gruppo che da lì a breve avrebbe portato Peavy ad allontanare il batterista André Hilgers e soprattutto uno Smolski a dire il vero apparso un po’ troppo influente a livello artistico sul sound del gruppo, ormai allontanatosi eccessivamente dall’irruenza di un tempo. Peavy ha quindi optato sia per il mantenimento dei più retrò Refuge, sia per una totale rifondazione dei Rage, con l’ingresso di due ottimi musicisti quali sono il batterista Vassilios Maniatopoulos e il chitarrista – nonchè abile seconda voce – Marcos Rodríguez. “The Devil Strikes Again” è il risultato di questo processo di restyling che a conti fatti suona come un quasi completo ritorno al passato, quantomeno alle sonorità del periodo “Black In Mind” / “End Of All Days”, con anche richiami sia al periodo ancora precedente che a quello successivo. Riffoni pesanti e diretti, influenze thrashy, ritmi tendenzialmente veloci, voce ruvida come ai vecchi tempi e cantato a tratti alto, con linee vocali più lineari e consoni all’ugola di Peavy, sono le caratteristiche che saltano subito all’orecchio già dalla bella titletrack posta in apertura del lavoro. Scelta di suoni piuttosto aggressivi e molti i richiami al passato sia in questo pezzo, il cui tiro e il bel ritornello sono le qualità principali, sia in altri come “Back on Track”, “The Final Curtain”, “War” o “Spirits Of The Night”, dove la melodia è sempre presente ma unita ad un sapiente uso di riff molto diretti e parti di batteria dal grande traino e senza quelle esuberanze che avevano reso più tecnici e “prog” i Rage degli anni 2000. La prima metà della tracklist è un susseguirsi di brani piuttosto ispirati e che complessivamente convinceranno soprattutto i fan di lunga data, mentre nella seconda sezione purtroppo non manca qualche calo di tono, come “Ocean Full of Tears” e “Times Of Darkness”, un tantino scialbe e prive di mordente. La chiusura dedicata a “The Dark Side of the Sun” è una sorta di riepilogo di quanto sentito: dai taglienti riff thrasy a tutta velocità, alle armonie e melodie dei ritornelli, per un finale che ci lascia complessivamente più che soddisfatti. Se questo è il primo lavoro di una band competamente ristrutturata, è più che lecito attendersi ottime cose dai Rage in futuro.