8.5
- Band: RAGE
- Durata: 00:57:51
- Disponibile dal: 01/01/1998
- Etichetta:
- G.U.N. Records
- Distributore: Audioglobe
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Con i nuovi Rage impegnati proprio adesso sia col gradito rispolvero del capolavoro “Black In Mind”, sia con le registrazioni di un nuovo album che – a detta di Peavy – suonerà proprio sulle coordinate dei dischi degli anni ‘90, non abbiamo resistito alla tentazione di proporvi come secondo Bellissimo del 2016 proprio un disco dei Rage, proveniente proprio da quel decennio. Dopotutto, esattamente dopo il già citato “Black In Mind” si ebbero le prime avvisaglie della ricerca di sonorità più accessibili e melodiche da parte della band teutonica, con il buono “End Of All Days” prima e poi col più controverso (e forse debole, ma da chi scrive ugualmente molto apprezzato) “Ghost”; giungendo infine al fatidico terremoto in formazione che porterà Terrana e soprattutto Smolski al fianco di Peavy per parecchi anni. Tra la serrata successione di questi album, però, trova posto anche “XIII”, fumosa e talvolta snobbata gemma grazie alla quale i Rage approfondirono la commistione tra musica metal e musica classica; esperimento, questo, che solo due anni prima avevano già tentato sul noto EP “Lingua Mortis”. E così, agli inizi del 1998, dodici violini, cinque viole, sei violoncelli, due contrabbassi e una sezione di cinque strumenti a fiato si riunirono sotto la guida del direttore Markus Stollenwerk e del pianista Christian Wolff (da anni collaboratore dei Rage) con Peavy, i fratelli Chris e Spiros Efthimiadis e il chitarrista Sven Fischer, pronti a incidere tredici tracce che noi riuniamo ora sotto il programmatico titolo di “XIII”. Con il risultato di incidere appunto una nera gemma di musica colta e raffinata ma anche veloce e potente e molto melodica. Non manca niente infatti in “XIII”, un album che nel suo essere diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto (e da quelli che lo seguiranno) riesce però a riassumere e a mostrare il volto migliore di tutte quelle che erano (o saranno poi state) le caratteristiche dei Rage in ben ventidue album in carriera. La ricca intro strumentale “Ouverture” apre quindi le danze, presentandoci il suono pieno e rotondo dell’orchestra al suo meglio e dipingendo in soli due minuti un’ottima guida alle sonorità che da lì a poco ci attenderanno. “From The Cradle To The Grave” ci aspetta subito dietro l’angolo, con un cupo riff iniziale ben presto sottolineato dagli archi dell’orchestra: la canzone non si perde in passaggi a vuoto e dopo una trentina di secondi di riff iniziale si sviluppa in una cupa e suadente strofa, pronta ad aprirsi in uno splendido e ultra-memorizzabile ritornello, che ne farà la fortuna negli anni a venire. “XIII” non è un album però senza spina dorsale e le successive “Days Of December” e “Sign Of Heaven” ci mostrano un aspetto più veloce e ‘power’ dell’album: la prima grazie a un gradevole e comunque melodico uptempo metal, la seconda con una secca e violenta sparata speed con tanto di arrembante doppia cassa. La seconda parte della suite “Changes”, iniziata alla traccia precedente, porta il titolo di “Incomplete” e sfrutta appieno la propria ricca veste orchestrale per reinventarsi canzone di classe e non semplice e scontata power ballad, mentre il compito della chiusura di questa trilogia di canzoni spetta a “Turn The Page”, movimento tra i più orecchiabili e radiofonici dell’intero album. “Heartblood”, settimo pezzo in scaletta, è un capolavoro di musica pesante e nera come la pece, con un riffing spessissimo e un cantato quasi growl a scandirne i tempi cadenzati e marziali. La successiva “Over And Over” non abbassa il tiro e mantiene il piede ben fermo sul pedale: la batteria di Chris Efthimiadis è infatti nuovamente in modalità da tiro, con un riffing decisamente vorticoso a coprire lo spesso tappeto orchestrale creato dagli archi. “In Vain” e “Immortal Sin” mantengono l’album su buoni livelli, seducendo l’ascoltatore prima con la carezza sonora di un’altra pseudo-ballad e di seguito rapendolo con la potenza di un altro coinvolgente ritornello, vero punto di forza di molte delle tracce qui presenti. La cover dei Rolling Stones “Paint It Black” ci mostra quasi in chiusura molto ingegno e coraggio da parte dei Nostri: anche se risulta quasi irriconoscibile rispetto all’originale, troviamo infatti la sua resa in chiave metal assolutamente godibile e interessante. La tutto sommato più ordinaria “Just Alone” chiude il bilancio di un album solido e senza cedimenti, all’insegna ancora una volta di un pezzo heavy in cui le iniezioni di musica classica arrotondano gli angoli accentuando, per contro, l’aspetto teatrale e operistico della musica dei Rage. Segnaliamo, per chiudere, l’esistenza di una versione in digipack dell’album con copertina nera e scritta in verde, contenente una bellissima tredicesima traccia intitolata “Just Another Wasted Day”, ultimo oscuro scintillio di un album che emette tutt’ora una luce molto, molto affascinante.