5.5
- Band: RAM
- Durata: 00:49:00
- Disponibile dal: 13/09/2019
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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“Al quinto tentativo i Ram hanno finalmente siglato un’esplicita dichiarazione d’indipendenza nei confronti dei pur validi concorrenti, per merito di un’opera che difficilmente lascerà insoddisfatti gli appassionati delle sonorità old-school“. Così si scriveva circa due anni fa in sede di recensione dell’ultimo album a firma Ram. Con “Rod”, infatti, la band di Goteborg, tutto acciaio e borchie, era riuscita a scansare quell’ombra ‘priestiana’ che da sempre pendeva sulla propria testa come una spada di Damocle, in favore di una nuova ventata di aria fresca ma soprattutto più originale. Un risultato che faceva dunque ben sperare, aumentando così le aspettative, in vista dell’uscita del qui presente “The Throne Within”. Speranze che, purtroppo, devono essere rispedite al mittente. Il quintetto scandinavo è nuovamente inciampato sui vecchi spettri targati Judas Priest. Il sesto album dei Ram è sì un onestissimo macinato di heavy metal, di quelli forgiati alla massima temperatura, ma il marchio di Rob Halford e compagni è praticamente impresso, in diversa misura, in ognuno dei nove episodi presenti in tracklist. I pezzi, un tantino troppo lunghi, scorrono comunque via possenti e granitici, questo è innegabile ma, non vi è un intro che non richiami, anche solo per qualche secondo, pezzi incisi a suo tempo dalla band di Birmingham.
Vi sono dei tentativi di personalizzazione, “The Trap”, “No Refuge” e “You All Leave”, ma la struttura di base su cui vanno a poggiarsi i vari brani, (anche quelli appena menzionati), sono palesemente made in Judas. E anche quelle sperimentazioni che avevano impreziosito il precedente “Rod”, nel nuovo lavoro sono più sporadiche e comunque meno spontanee, quasi se una sorte di confusione mentale abbia aggrovigliato la viscerale passione per un genere, che indubbiamente ha fatto la storia, con la volontà di inserire qualcosa di personale in essa. Una disorganizzazione che si è rivelata quando i nostri, con stacchi sonori all’interno del singolo brano, hanno cercato di sottolineare il cambio di ritmiche ed introdurre la tanto attesa novità propositiva. Tentativo però andato a vuoto proprio per la mancanza di un legame tra le parti, come se fossero due pezzi ben distinti, salvo poi ripartire con il treno di riff impostato all’inizio della traccia. Non dubitiamo circa il facile e telecomandato headbanging che si scatenerà allo scoccare delle prime note di “The Shadowwork”: l’effetto calamita del metallo pesante ottantiano è inconfutabile. Rimane tuttavia il dilemma di capire se ci troviamo di fronte ad una valida alternativa a quelle band che hanno segnato l’epoca di un genere oppure (a questo punto) a dei semplici cloni, tanto poderosi e convincenti on stage, ma altrettanto deboli in studio. Un dubbio che sembrava essere stato spazzato via ma che invece è tornato prepotentemente a farsi sentire.
Ai superdefender “The Throne Within” garberà sicuramente, e del resto anche la copertina prometteva cose preziose, ma quel passo in avanti, deciso e confrontante, compiuto con “Rod”, ha bruscamente pigiato il tasto ‘stop’, intrappolato dall’acciaio britannico del prete di Giuda.