7.5
- Band: RAMMSTEIN
- Durata: 00:52:11
- Disponibile dal: 29/04/2022
- Etichetta:
- Universal Music Enterprises
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Sono passati meno di tre anni dall’ultimo album dei Rammstein, numero uno nella classifica di quattordici paesi e capace di sfondare la top 10 nella Billboard chart. Una sorpresa, considerato il decennio trascorso tra “Liebe Ist Fur Alle Da” e il senza titolo del 2009, che dimostra come gli anni persi causa pandemia (coi sessanta tir e quattrocento tecnici necessari a movimentare palco ed attrezzature fermi) abbiano quasi giovato alla linfa vitale dei mangiafuoco. Niente di frettoloso, come in passato fu “Rosenrot”, questo “Zeit” va a magnificare il percorso artistico della band senza cambiare la propria formula vincente, in un disco che racconta del trascorrere del tempo nei diversi toni che il gruppo padroneggia saldamente (serio, agrodolce e comico) in una dimensione più adulta e consona a musicisti over 50, relativamente sobria e sintetica, più malinconica che su di giri.
I lati agrodolci e seri sono esplorati in pezzi come la title-track, uno dei picchi di epica e poetica del disco, il climax del lato profondo e toccante dei R+, così come dalla successiva “Shwarz”, un inno alla notte caratterizzato da un delicato pianoforte. In “Meine Trainen” uno storytelling cadenzato rende questa evocativa power ballad un vero e proprio classico, con un crescendo che trasporta verso il gran finale emotivo. In maniera simile con “Lugen”, lo spoken word di Lindeman su delle ‘gocce’ sonore viene squarciato bruscamente da violenti tuoni strumentali. Nel ritornello il frontman attacca con ulteriore urgenza ed intensità, su un coro potentissimo distorto dai synth e dalle vocals effettate. Un brano che gioca di forti contrasti e presenta l’autotune come singola ma audace novità, che farà rabbrividire molti all’idea ma risulta efficace e spiazzante. Anche la conclusiva “Adieu” fa parte dell’insieme, giocando con l’ambiguità e solleticando gli ascoltatori con quella che potrebbe essere la fine del disco, di un concerto o della vita del gruppo in uno struggente ed anthemico saluto ad altissimo volume, ancora una volta progettato per suscitare un’obbligatoria reazione del pubblico.
Il folder dei pezzi più sciocchi e diretti sarà materiale fertile per live e videoclip: si parte ovviamente con “Zick Zack”, le cui tastiere nell’intro citano un po’ “Barbie Girl” degli Aqua, un pezzo disco rock perfetto per essere singolo, con l’ottimo assist del tema (la chirurgia estetica) per il simpatico video. “Giftig” è una zarrata potente e uno tra i brani più ficcanti ed immediati tra gli undici, con riff industrial rock, synth spaziali ed occasionali sottofondi operistici per un brano che vive di contrasti e di potenza. “Dicke Titten” (“Grosse Tette”) è la nuova “Pussy” e arriva ad utilizzare addirittura un’orchestrina per introdurre un riff gigante quanto elementare, riuscendo anche a fondere i due elementi in maniera grottesca; “OK” infine, abbreviazione di “Ohne Kondom” (“Senza Preservativo”), vira col suo uptempo verso tematiche oscene citando sadomasochismo e sesso anale.
Immortalato in suoni enormi dal berlinese Olsen Involtini tutto il disco è immediatamente fruibile, pop e disegnato col pennarello a punta larga: dai riff cadenzati alla sezione ritmica quadrata, dalle vocals scandite ai sintetizzatori minimali, fino ai sentimenti che Lindemann desidera imboccare con la sua esplicita teatralità. Si riserva ai testi ‘cifrati’ dal tedesco l’unico strato misterioso su cui è possibile una lettura più profonda, grazie all’abile penna del frontman.
“Zeit” presenta poche novità dunque, ma resta un disco senza punti deboli che riesce lo stesso ad essere sorprendente per l’efficacia e l’ispirazione con cui una band di veterani, con un pesante ostacolo linguistico dovuto al cantato in tedesco, si permette nuovamente di riaffermare le proprie spropositate fattezze. E se davvero questa fosse la fine, almeno ci saranno i fuochi d’artificio.