8.0
- Band: RANCID
- Durata: 00:28:45
- Disponibile dal: 02/06/2023
- Etichetta:
- Epitaph
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Se è innegabile l’impatto dei Rancid sulla scena punk rock degli anni Novanta – di cui sono stati tra i principali esponenti della corrente fuori dal giro delle major, insieme a NOFX e Pennywise – allo stesso modo va riconosciuto che le uscite del terzo millennio, se pur più diradate, non hanno aggiunto moltissimo alla discografia del quartetto di Berkeley.
Lungi da noi voler paragonare questo “Tomorrow Never Comes” ai grandi classici, ma dopo la mezza delusione di “Troublemaker” questo decimo album ci restituisce una band in palla come dei ragazzini, a dispetto delle quasi sessanta primavere di Tim Amstrong e soci. Con sedici brani in meno di mezz’ora è evidente come la durata delle canzoni si aggiri intorno ai due minuti per brano, con un approccio essenziale come non sentivamo dai tempi del secondo self-titled del 2000, e di cui peraltro la copertina riprende la grafica dell’inner sleeve.
Pezzi come “Devil In Disguise”, “Don’t Make Me Do It” (la più Oi! del lotto) o “Eddie The Butcher”, con i ritornelli ripetuti ad oltranza, possono sembrare banali nella loro semplicità ma catturano alla perfezione l’essenza di questo tipo di punk: quattro accordi a tutto gas, cori e controcori ad alto tasso etilico e via andare; il tutto impreziosito da una sezione ritmica che si conferma tra le migliori del genere, con un tiro (soprattutto nel basso di Matt Freeman) che da solo vale il prezzo del biglietto. Un album dei Rancid non sarebbe tale senza degli anthem da cantare a squarciagola, e anche qui Tim Amstrong e Lars Frederiksen, che come da tradizione affianca il leader dietro al microfono, non si sono risparmiati: il minutaggio più sostenuto di “New American”, “Prisoner’s Song” e “One Way Ticket” alza il tasso melodico pur senza tradire l’anima punk, sollevando un ideale polverone sotto palco con un girotondo gioioso di cui sono maestri dai tempi di “Let’s Go” e “…And Out Come The Wolves”; allo stesso tempo l’alternanza con brani più ‘da pogo’ (“Mud, Blood, & Gold”, “Live Forever”, “Magnificent Rogue”) rende la mezz’ora scarsa di “Tomorrow Never Comes” ipnotica come una trottola, da cui – pur sapendo già dove va a girare – non si riesce a staccare le orecchie di dosso.
Se dal vivo restano sempre una garanzia, anche in studio hanno trovato il modo di celebrare nel miglior modo possibile il trentesimo anniversario discografico, con il loro miglior album da vent’anni a questa parte. Bentornati Rancid, e avanti così, che di questo passo non solo il domani, ma anche la pensione non arriva mai!