6.5
- Band: RAZOR
- Durata: 00:43:02
- Disponibile dal: 23/09/2022
- Etichetta:
- Relapse Records
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Sperare di poter ascoltare nuova musica da parte dei Razor rappresentava ormai un sogno piuttosto recondito nella mente di ogni metallaro della vecchia scuola, vista la distanza pluridecennale dall’ultimo studio album rilasciato nel 1997 dal titolo “Decibels” e le poche ristampe pubblicate dal momento della reunion avvenuta a metà anni Novanta. Ecco che il silenzio però viene finalmente infranto da un nuovo album e dalle voci che acclamano i Razor all’inizio di “Flames Of Hatred”, impeto campionato dalla situazione live, in grado di inserire da subito le gesta dei canadesi in un contesto urbano e vissuto che da sempre gli si confà perfettamente.
Dal punto di vista stilistico, la band fa quadrato intorno al proprio indubbio punto di forza, ovvero le furiose sparate speed-thrash dalla plettrata vigorosa che hanno reso grande il nome di Dave Carlo nei decenni passati, rovesciando violentemente una quantità di upbeat straripanti che si scatenano di canzone in canzone sotto l’ossessivo ritmo thrash di Rider Johnson alla batteria, giovane nuovo acquisto che preferisce senza dubbio puntare sul sicuro e giocare sul classico piuttosto che sulla sperimentazione.
Le tirate di “Jabroni”, “Punch Your Face In” e “Crossed” mostrano chiaramente l’intento bellicoso insito geneticamente nel DNA dei Razor e mai sopito, a giudicare dalla grande energia che il riffing ed i pezzi di questo “Cycle Of Contempt” mettono in campo, lasciando a “Off My Meds” e “All Fist Fightning” l’onore di rievocare le gloriose gang vocals che tanto coinvolgevano nella vecchia discografia. Qualche cenno di variazione è percepibile nella più posata “First Rate Hate” o in alcuni passaggi di “Darkness Falls”, ma si tratta di fugaci palliativi in un disco completamente assorto nella frenesia del ‘tupa-tupa’ più selvaggio.
Se la scrittura del disco quindi (pur basandosi su canoni ben noti per i Razor) mostra ancora segni di potenza e vitalità, meno felice sempre essere stata la scelta di produzione musicale, invischiata in un sound grezzo ma moderno che non convince appieno. Perso molto del focoso calore che ammantava le vecchie produzioni, “Cycle Of Contempt” suona freddo e digitale, con qualche errore di troppo nel sound della batteria e nella crudezza eccessiva dei soli di chitarra e delle ripartenze. Anche la ruvida voce di Bob Reid, piuttosto spettrale ed ostile di per sé, si amalgama poco con il resto, finendo per inficiare parte del buono lavoro svolto dal gruppo in sede di songwriting.
“Cycle Of Contempt” si configura come un ritorno agrodolce, buono per apprezzare alcuni guizzi di old school speed metal ma poco coinvolgente nella sua generale resa sonora.