
7.0
- Band: RED FANG
- Durata: 00:34:38
- Disponibile dal: 14/10/2016
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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I Red Fang sono una certezza assoluta, lo stoner rock per tutti, grazie alla capacità di essere estremamente catchy senza mai svendersi. Anche se… Questo nuovo “Only Ghosts” colpisce come sempre nel segno, ma qualche cenno di eccessiva strizzata d’occhio alla classifica si fa sentire. Intendiamoci, niente di male: lo stoner più caciarone e easy è fatto per girare nell’autoradio, e se permette di essere trasmesso in heavy rotation ben venga. Le note iniziali di “Flies” ci riportano con lo stampino a dove c’eravamo lasciati al termine del precedente “Whales and Leeches”, ma la ricerca di un pubblico (ancora) più ampio viene confermata dall’utilizzo di un controcanto pulito, che diventa addirittura l’unica via nella successiva “Cut It Short”; con un riff memorabile e appiccicoso come una gomma da masticare, spiega alla perfezione l’ascesa dei Red Fang all’Olimpo del Rock da Classifica, quello che con le loro diversità va dei Mastodon ai Foo Fighters, sempre passando dalle apparizioni al David Letterman Show. “Flames” è un breve intermezzo vagamente drone, che introduce “No Air”, dove il basso pulsante di Aaron Beam si muove dalle parti dei Queens Of The Stone Age, dando avvio a un brano dove i duetti la fanno da padrone: quelli tra le voci ora aggressive e tipiche della band e cori quasi sussurrati, e soprattutto quelli tra le due chitarre di David Sullivan e Maurice Bryan Giles, abrasive e acide come non mai. “Shadows” mette in grande spolvero il lavoro di John Sherman dietro le pelli, in grado di pestare come un fabbro sena nuocere alla generale melodia, grande punto di forza di questo album; come nella successiva “Not For You”, dove la semplicità a servizio del rock tocca il suo apice, andando a sfiorare quasi i territori dei Weezer. Ma se per buona parte dell’album, appunto, i Red Fang paiono flirtare pure troppo con l’immediatezza commerciale, i brani finali ristabiliscono un po’ d’ordine, sporcando il loro stoner con massicci rallentamenti (“The Smell Of The Sound”) o virate quasi sludge (“I Am A Ghost”); quasi, appunto. Diciamo che l’esito complessivo è dalle parti dei succitati Mastodon: bravi, sempre efficaci, a volte furbetti. Un sette pieno senza discussioni né lacrime agli occhi, insomma.