8.5
- Band: RED HARVEST
- Durata: 00:51:10
- Disponibile dal: 19/02/2007
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Dopo quasi vent’anni di carriera, dopo un percorso che ad ogni tappa ha aggiunto qualcosa di intrigante, dopo una continua voglia di sperimentare e di mettersi in gioco, dopo almeno tre album incredibili (“HyBreed” nel 1987, “Cold Dark Matter” nel 2000 e “Sick Transit Gloria Mundi” nel 2002) è lecito chiedere ancora qualcosa ai Red Harvest? Probabilmente no ma la band, incurante di tutto e di tutti, prosegue lungo la propria strada che ormai utilizza il black, il thrash, l’industrial e tutta una sere di contaminazioni con una maestria tale da lasciare interdetti. “A Greater Darkness” infatti è l’ennesimo monolite nero che si conficca nella corteccia cerebrale dell’ascoltatore e lo tiene in scacco fino alla fine. Cosa dire del riffing di Selveste TurboNatas e di Ofu Khan? Era dai tempi dei Celtic Frost che delle partiture tanto semplici non erano così opprimenti ed oscure. Per non parlare dell’effettistica di LRZ, vero mago del programming, che ammanta tutto l’album lasciando però che sia ancora una volta la forza degli strumenti tradizionali ad emergere e ad uscire dalle casse in tutta la propria perversa violenza. Ed infatti l’intero lavoro, pur essendo pervaso da un mood elettronico e futuristico, resta sempre ancorato a sonorità uscite da mente umana, rendendolo se possibile ancora più terrificante. Era da tempo che una canzone non inquietava a tal punto come “Hole In Me”, fantastico punto di approdo che filtra la genialità dei primi Arcturus in chiave industriale, con Ofu Khan che recita le parti vocali in maniera tanto pacata e teatrale quanto allo stesso tempo schizoide. Con i Red Harvest il black metal subisce la sua mutazione ultima e più lancinante, smettendo di essere musica pagana per diventare un qualcosa di inumano da vivere sulla propria pelle. A parole è difficilissimo spiegare un qualsivoglia lavoro dei norvegesi, quasi quanto lo deve essere stato a suo tempo recensire “Into The Pandemonium” dei già citati Celtic Frost. Ecco, proprio la genialità degli svizzeri può essere l’unico termine di paragone apportato a “A Greater Darkness”, per lo meno a livello di atmosfere e di emozioni negative che la musica di entrambi i gruppi elargisce a piene mani. Se proprio bisogna trovare una definizone, comunque imperfetta e abbastanza improbabile, potrebbe calzare un industrial avantgarde black metal. La soluzione migliore è quella di buttarsi nel mondo morente dei Red Harvest e farsi ammantare dalla morbosità che lo pervade. Grandissimo lavoro, di poco inferiore ai tre capolavori citati in apertura, ma di uno spessore e una caratura che il resto dei comuni mortali sogna soltanto.