RED HARVEST – Hybreed

Pubblicato il 11/02/2017 da
voto
9.0
  • Band: RED HARVEST
  • Durata: 01:18:03
  • Disponibile dal: 01/01/1996
  • Etichetta:
  • Voices Of Wonder

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La spiegazione del successo di un gruppo non è mai facile, né immediata, né esaustiva. Non lo è nemmeno capire perché accada l’esatto contrario, anche quando il discorso sonoro preveda dei possibili agganci alla moda del momento, e gli artisti in esame producano opere interessanti una dietro l’altra, senza venire meno ai propri standard di eccellenza. Tale riflessione spicciola ci viene buona per introdurre il terzo capitolo discografico su lunga distanza dei norvegesi Red Harvest, creatura ibrida che ha frequentato molti generi nella sua tormentata esistenza, sfiorando soltanto la notorietà e l’apprezzamento su larga scala riservato a similari formazioni coeve come FearFactory e Strapping Young Lad. “Hybreed” non è il solo disco del gruppo che avrebbe meritato di far parte della rubrica dei Bellissimi, la scelta è caduta su di esso per l’unicità di alcuni aspetti anche all’interno della discografia, già peculiare di per sé, degli uomini di Oslo. In secondo luogo, abbiamo qui dentro i prodromi di alcuni atteggiamenti, contenuti e suoni che diventeranno capisaldi della successiva evoluzione della band, quella che la proietterà sotto l’egida della Relapse e gli garantirà barlumi di – effimera – rinomanza underground. Reduci dal già ottimo “There’s Beauty In The Purity Of Sadness”, a una prima sommaria analisi i Nostri non vanno a compiere rivoluzioni nel suo successore. Se ascoltiamo i pezzi più tirati e ritmati, ci troviamo dinnanzi a una rielaborazione del Ministry-sound sotto una parvenza più apocalittica e lugubre, contenente i prodromi di certe ibridazioni metal/elettronica che andranno a intensificarsi in una grossa fetta della scena estrema degli anni 2000. Pezzi come “Maztürnation” e“Mutant” rifulgono di una guizzante luce rossastra, conferita da ritmi squadrati e incalzanti, abbinati a vocals ruggenti – opera di quello spirito inquieto di Jimmy Bergsten, uomo emanante un genuino senso di disturbo on-stage – e gelide chitarre compresse. In questi casi i Nostri sembrano degli esperti fabbri robot, intenti a dissezionare e ricomporre strutture di moderno rock industriale per rinnovare un’estetica a quel punto ben consolidata nei caratteri fondamentali, e che sotto il chirurgico rimestare dei musicisti nordici ridiventa materia nuova e pulsante. Questa la parte positiva, ma ancora abbastanza normale, del discorso. I veri pezzi da novanta sono altrove. E parliamo di quegli assurdi mantra doom che rispondono al nome di “Lone Walk”, “On Sacred Ground”, “Monumental”, “Underwater”. Trattasi di un patrimonio uditivo rimasto ineguagliato dalla band stessa negli anni a venire e che non ha dei pari grado nel metal di quegli anni e successivo. Si respira una densa sensazione di pace e catarsi, trasportati da chitarre dal suono spesso e ridondante, che sembrano sfumare in un crepuscolo ardente, come quello rappresentato nella cover originaria. La batteria si muove con tocchi pacati, caldi, suonando così rassicurante e mistica come quella dei Neurosis nel passaggio dai livori della giovinezza alle meditazioni della maturità. La voce ondeggia duttile in selve di sospiri e un narrare solenne da sciamano, intrecciandosi allo scricchiolare dei synth, ai loro arabeschi sottili. Vibrano stentoree le corde vocali di Bergsten, gettando una fitta coltre dark su canzoni che possono dilatarsi nell’ambient più teso (“Lone Walk”) oppure onirico (“Underwater”), sfociare nello shoegaze (“On Sacred Ground”), trasmutare in un canto gregoriano dissolto nello spazio profondo (“Monumental”). Fondamentale la lunga durata, nella reiterazione e accumulo sensoriale il suono diventa un blocco d’acciaio sensibile alle sollecitazioni dell’anima, conclamando quel dualismo uomo-macchina che i Red Harvest hanno vivisezionato in ogni loro pubblicazione. Comparse per la prima volta nell’ep“The Maztürnation”, diventano determinanti in “Hybreed” le competenze di Lars Sørensen, alchimista del rumore che alle tastiere mesce elettronica, ambient, drone, iniettandole con tocchi morbidi nel cemento armato industrial scolpito dagli altri strumenti. Due tracce ambient, “Ozrham” e “In Deep”, hanno il compito di affogarci del tutto in un universo percettivo magmatico, rimembrante un deserto silente, privo di vita. Negli anni a seguire tali plumbee atmosfere rivivranno a intermittenza, sotto modalità differenti, di nuovo bene in luce soprattutto in “A Greater Darkness”, ultimo album pubblicato prima dello scioglimento. I refoli di misticismo di “Hybreed”, però, rimarranno ineguagliati.

N.B.: L’album è stato ristampato a fine gennaio dalla label francese Cold Dark Matter in un’edizione rimasterizzata, con nuovo artwork e su due cd. Nel secondo, oltre alle ultime due tracce di “Hybreed”, è presente la registrazione del primo concerto post-reunion tenutosi all’edizione 2016 del Blastfest. Queste la copertina e la tracklist della ristampa:

CD1

“Maztürnation”
“The Lone Walk”
“Mutant”
“After All…”
“Ozrham”
“On Sacred Ground”
“The Harder They Fall”
“Underwater”
“Monumental”

CD2

“In Deep”
“The Burning Wheel”

Live BlastFest 2016

“Omnipotent”
“The Antidote”
“Hole in Me”
“Godtech”
“Cybernaut”
“Mouth Of Madness”
“Sick Transit Gloria Mundi”
“Absolut Dunkel-Heit”

TRACKLIST

  1. Maztürnation
  2. The Lone Walk
  3. Mutant
  4. After All...
  5. Ozrham
  6. On Sacred Ground
  7. The Harder They Fall
  8. Underwater
  9. Monumental
  10. In Deep
  11. The Burning Wheel
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