6.5
- Band: RED WARLOCK
- Durata: 00:44:12
- Disponibile dal: 06/12/2010
- Etichetta: My Graveyard Productions
- Distributore: Masterpiece
Dopo avere ascoltato ripetute volte il debutto “Serve Your Master” dei sardi Red Warlock, possiamo tranquillamente affermare che, anche a fronte di tutte le nuove correnti e sottocorrenti che continuamente si formano nell’agitato calderone della cosidetta ‘musica pesante’, il buon vecchio Heavy Metal, nella sua accezione più pura e classica, ha ancora molto da dire. Niente power dunque per i Red Warlock, e neppure l’attaccamento a schemi riproposti da altre band. Quello che ci propongo i cinque giovani musicisti in questo album è un ribollente concentrato di vocals pulite ma abrasive, chitarre corpose e sferraglianti, basso pulsante e ritmiche sostenute. Con questi ingredienti i Red Warlock riescono sin dal debutto ad uscire dall’anonimato comune alle decine di band cloni che popolano la nostra redazione, ritagliandosi uno spazio in virtù di un suono appunto più personale, che mischia le influenze più classiche già citate nell’apertura della recensione con qualcosa di più moderno soprattutto in termini di suoni, e che ci mostra anche alcune costruzioni maggiormente complesse rispetto agli standard del genere, utili ad aumentare l’interesse nell’ascolto. Un buon punto di partenza, dunque, per una band che fa appunto dell’impatto e di una certa ricercatezza compositiva i propri punti forti. Il disco si affida ad una buona partenza che porta il titolo di “Rising From Hell”, pezzo iniziale esplosivo, dotato di un buon ritornello e di robuste ritmiche. I tempi rallentano ma l’energia rimane inalterata con la successiva “Awakening”, un buon pezzo arricchito da un assolo degno di nota e ancora una volta da tante sonorità classicamente metal. “Sabrewolf” continua il discorso, rallentando ancora di più i ritmi ma introducendo delle interessanti costruzioni di batteria che muovono il pezzo su coordinate più rocciose. La buona prestazione del cantante Marco Piu, che già in “Sabrewolf” ci aveva lasciati soddisfatti, si conferma poi con “Eagle Take My Hand”, un pezzo più melodico che può ricordare “Children Of The Damned” dei Maiden come costruzione, partendo da una strofa con suoni puliti per approdare ad una maggiore elettricità del ritornello. La più diretta “Mark Of Betrayal” ci conferma la capacità del gruppo di picchiare duro prima di una “Red Warlock” che ci convince sempre di più delle abilità strumentali della band. Il pezzo si apre con una lunga introduzione affidata ad una successione di riff e assoli molto tecnici che la dicono lunga sulla preparazione strumentale e la coesione dell’intera band. Peccato per un finale non all’altezza del resto dell’album, a carico delle tre canzoni finali che, pur essendo carine e al 100% in linea con quanto sentito dalla band fino ad ora, rimangono un po’ più nell’anonimato. Certamente non possiamo che notare lo sforzo compositivo e la compattezza strumentale di questa giovane band, alla quale è imputabile l’unico difetto di una proposta musicale forse fin troppo diretta e pesante, che renderà difficile digerire al primo ascolto l’album ai fan del metal più melodico. Per nulla un album diretto o facile, “Serve Your Master” richiede all’ascoltatore un maggior numero di ascolti per scoprirne i lati nascosti. Non sapendo se questa mancanza di immediatezza è voluta o solo frutto di un songwriting che non accetta mezze misure, non ci resta comunque che lodare appunto l’originalità della proposta e la sua realizzazione, e consigliarne l’ascolto ai fan del metal a trecentosessanta gradi.